Sono state 190.517 le persone morte di covid a giugno del 2023 in Italia. Nell’immaginario collettivo quell’epidemia ha lasciato un solco profondo. Aveva richiamato alla memoria le grandi epidemie che nei secoli avevano colpito l’umanità. Quelle tragedie avevano lasciato l’incubo di una morte imminente, la paura dei monatti che venivano nelle case a prendere i cadaveri, la strage di innocenti e tutto ciò che accadeva in quelle affollate e sporche città medioevali. Tutto questo era conseguenza delle frequenti epidemie di peste, vaiolo, tifo, colera e di altre terribili malattie che l’umanità ha saputo sconfiggere, ma che rimangono radicate nella memoria collettiva.
Ma perché parliamo qui di quella drammatica stagione della nostra storia? Forse perché il covid sta tornando a imperversare. Certo oggi è meno pericoloso, è diventato più simile a una grave influenza … ma anche i raffreddori fanno i loro morti. Sono certamente di meno, ma li fanno anno dopo anno. D’altronde questa epidemia da covid sta tornando a imperversare. Ma stavolta si ripresenta senza i clamori della stampa che, silenziata dalla Meloni e dai suoi alleati, imperversa nelle sue infinite varianti. L’attuale silenzio della stampa favorisce manifestazioni più blande dei sintomi che provoca. Ma di danni continua a farne anche nelle attuali versioni.
Puntualmente riemergono anche vecchie e stravaganti teorie complottiste su cause e untori. Ma la ripresa epidemica è, a tratti, più violenta ed emarginante per chi ne è sventuratamente colpito. Si sente solo come se fosse l’unico raro caso, ignorato, abbandonato. Questo perché il Covid non essendo più considerato alla stregua di una emergenza sociale, non interessa più a nessuno … finché non ci si ammala. E allora, usciti dai riflettori, riemergono tutti i fantasmi una volta presenti in tali contesti. Se hai la sventura di vivere quell’incubo, forse ti senti persino in colpa. Perché abbiamo dentro di noi, radicata, l’idea che se ti colpisce, forse ciò è conseguenza di un qualche tuo peccato. Quale? Uno qualsiasi, perché ognuno ne ha almeno uno in corso o ne ha commessi di recente.
Se provate a chiamare il vostro medico di base, la risposta che vi darà sostanzialmente non cambierà rispetto a quella ricevuta nei mesi critici della pandemia, vi dirà di andare in ospedale o al pronto soccorso. E, ancora una volta, non si prenderà la briga di venire a visitarvi. E se deciderete di andare in un ospedale, forse vi tratteranno come un appestato, rinchiuso in isolamento e senza un operatore che trova il tempo di visitarvi. Una sensazione terribile che fa emergere la convinzione che qualcosa avrete certamente sbagliato, che siete stati imprudenti, che siete stati “colpevoli” e quindi meritevoli di una simile punizione. E voi cominciate a crederci, ma poi, quando ricostruite la sequenza dei contatti per capire dove avete potuto infettarvi, ripercorrendo con la memoria i luoghi che avete frequentato, quelli affollati, quelli ludici, e allora vi ricorderete di quelle affollate sale di attesa, dove avete aspettato per un tempo infinito di ricevere una prestazione medica e avete vissuto un’interminabile attesa al fianco di centinaia di persone esasperate, qualcuna tossiva, tutti aspettavano, proprio come voi. Colpevoli? Forse sì, ma solo di essere umani, e quindi fragili.
Racconto questa storia per dire che tutto è iniziato quando qualcuno ha fatto circolare l’idea malsana che il covid era stato il frutto della mente malata di qualche politico in cerca di visibilità (si, è stato detto anche questo). Negare ora il previsto ritorno dell’epidemia, negare la pericolosità di questa nuova ondata, significa farci trovare di fronte a focolai più violenti, accentuare la paura anche negli operatori che dovrebbero curarvi ma che, lasciati allo sbando e senza precise indicazioni operative, si ritroveranno ancora una volta senza strumenti, bloccati, memori delle sanzioni minacciate e portati solo a difendere se stessi e il loro lavoro, abbandonando i pazienti su squallidi lettini “di isolamento”, interdetti ad altri operatori e pazienti. Ma lì non ci sono appestati … siamo vittime e non possiamo farci nulla.
Ma la realtà non è necessariamente questa. Se all’assistenza si taglia di netto la parte umana, empatica, si riduce drasticamente anche le possibilità di guarire.
Certo. Forse avrà pure un senso ridurre l’allarme ed evitare nuove emergenze sociali, ma basterebbe anche comunicare e far capire che l’infezione oggi si sviluppa in modalità più blande e meno pericolose, senza abolire la componente umana. Spiegare che oggi abbiamo una conoscenza maggiore del virus e quindi abbiamo più strumenti per combatterlo e prevenire i danni. Le paure dei pazienti derivano spesso dall’assenza di informazioni e dal degrado materiale delle nostre strutture sanitarie. Ripristinare serenità e consapevolezza, informare sulla reale gravità aiuta molto e … favorisce persino una guarigione più veloce.
Scopri di più da La voce Delle Voci
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.






























