EMODERIVATI KILLER / SENTENZA “STORICA” A FIRENZE

Sentenza ‘storica’ pronunciata dalla Corte d’Appello del Tribunale civile di Firenze nel martoriato campo delle morti per trasfusioni di sangue infetto o assunzione di emoderivati altrettanto infetti.

Perché stabilisce un risarcimento record che lo Stato dovrà versare ai familiari della donna morta dopo lunghissime sofferenze e tribolazioni.

La cifra totale corrisposta fino ad oggi dallo Stato in simili casi non è conosciuta. I presunti difensori ministeriali della salute pubblica, infatti, preferiscono tener ben nascoste quelle cifre.

Ma i familiari e le associazioni protestano, segno che la vicenda è sempre, più che mai, drammaticamente aperta.

E balzano evidenti due fatti, incontestabili. Nessuna sentenza, comunque, ridarà vita alle vittime del sangue, delle trasfusioni e degli emoderivati infetti, una tragedia che ha colpita oltre 6 mila persone (la stima è certo ‘contenuta’) le quali non torneranno mai in vita.

A livello politico-burocratico nessuno ha mai pagato il fio: ricordate re Mida Duilio Poggiolini, per anni direttore generale ed eminenza grigia al Ministero della Sanità anni ’80, che aveva in salotto il puff zeppo di soldi?

Mentre, per fare solo un paio di esempi, su questo fronte bollente in Francia cadde oltre vent’anni fa il governo Juppè; ed in Inghilterra ha lavorato una speciale commissione d’inchiesta che ha accertato svariate responsabilità ministeriali.

Non è certo finita qui. Perché i primi colpevoli, ossia i titolari della aziende farmaceutiche che hanno per anni cumulato montagne di profitti trafficando e distribuendo quei prodotti killer, l’hanno regolarmente passata liscia, mai raggiunti da alcun provvedimento giudiziario. Ai confini della realtà. E sulle pelle di migliaia e migliaia di cittadini innocenti.

Lo dimostra anche la vicenda che stiamo per raccontarvi.

Tutto comincia a Firenze nel 1978, quando una donna viene ricoverata alla Casa di Cura (privata) Kraus perché deve partorire. Le viene somministrato, tra l’altro, l’emoderivato ‘Partobulin’, prodotto da una della star di Big Pharma, la ‘Immuno’ di Vienna. Che, come anticipato, non verrà mai tirata in ballo nel corso di tutta la drammatica storia.

Nei due anni seguenti la stessa donna subirà due interruzioni di gravidanza: ricoverata nel 1979 e poi nel 1980 all’Ospedale Santa Maria Nuova (pubblico), anche stavolta le viene somministrato il fatidico Partobulin.

Dopo alcuni anni comincia il calvario. Alla donna viene diagnostica un’Epatite C.

E qui, oltre alle sofferenze, si sommano i patemi per la estenuante battaglia legale che comincia.

Ecco le tappe della Via Crucis.

  1. La donna presenta istanza amministrativa al fine di ottenere un indennizzo per aver contratto il virus HCV, ossia l’epatite C, in seguito alla somministrazione di Partobulim, la prima del 1978.

La ‘Commissione Medica Ospedaliera’ ci mette tre anni per riflettere e ponderare. Poi, con tutta calma, nel 1998 rifiuta di concedere alcun indennizzo, sostenendo che non esiste alcun nesso causale tra quella somministrazione e l’infezione, perché “è stato identificato il donatore e ne è stata riscontrata la negatività al virus”.

La donna, nonostante le sofferenze e le cure alla quale deve essere sottoposta, con l’aiuto dei due figli e soprattutto del marito, però non si arrende. E nel 2006 presenta una nuova istanza di indennizzo, sempre in sede amministrativa. Stavolta viene accolta nel merito – a questo punto di tutta evidenza viene riscontrato il famigerato nesso causale – ma respinta ‘tecnicamente’, perché ritenuta “tardiva”.

Incredibile ma vero.

Passa qualche anno, ma l’eroica famiglia fiorentina non si arrende. E decide di chiamare in causa direttamente lo Stato, ed il particolare il Ministero della Salute, colpevole di non tutelare la salute dei suoi cittadini. La complessa causa viene affidata allo Studio Associato Maior.

Nel frattempo la donna, sfinita dal male, passa a miglior vita a soli 68 anni, nel 2018.

La causa procede e fa segnare una sentenza sfavorevole in primo grado, per via del solito ‘nesso causale’.

Ma ecco che adesso arriva la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello civile del tribunale di Firenze. A mettere nero su bianco lo ‘storico’ provvedimento è la Quarta sezione civile, presieduta da Dania Mori.

La quale accoglie totalmente le tesi della famiglia: “Non vi è alcun dubbio che il sia il marito che i figli hanno subito, a causa della malattia della donna, un radicale sconvolgimento  delle loro esistenze”. E da tener presente che ad ottobre verrà effettuata un perizia tecnica per accertare l’ulteriore danno psicologico subito dal coniuge. Una cifra che si aggiungerà, perciò, a quella appena stabilita in 1 milione 400 mila euro.

Il tribunale di Firenze

Significativo quel che viene messo nero su bianco nella perizia d’ufficio: “E’ noto in letteratura che fino al 1985 tutti i prodotti estratti dal plasma dei donatori a pagamento erano inquinati da tutti i virus ematogeni conosciuti. Solamente nel 1986, con l’introduzione di metodi virucidi adottati dalla industrie farmaceutiche, tale contaminazione virale è stata ridotta a livelli di quasi completa sicurezza. E’ quindi estremamente certo che la paziente sottoposta alla prima e poi ad altre iniezioni di Partobulin plasma derivato sicuramente contaminato da virus ematogeni, si è infettata con il virus HCV all’epoca ancora non conosciuto”.

La consulenza sottolinea, in particolare, la totale mancanza di controlli e la completa assenza di vigilanza sulla salute della paziente.

Così lapidariamente conclude: “Assume un ruolo assolutamente decisivo l’incauta somministrazione di emoderivati in violazione di specifiche regole”.

Più che incauta, assassina.  


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