Nel segno della più totale ipocrisia.
A ulteriore dimostrazione che l’unica logica che domina nel tanto libero e democratico Occidente è solo quella del profitto: che in questo caso si traduce nei maxi interessi dell’industria militare, in quella colossale macchina bellica che la fa ormai da padrona.
La dimostrazione, a prova di bomba – è proprio il caso di dire – sta nella verifica sull’export di armi ad Israele da parte dei paesi che hanno riconosciuto lo Stato della Palestina.
L’Italia, stavolta, non entra nemmeno in classifica, perché sul totale delle 157 nazioni su 193 che aderiscono alle Nazioni Unite e hanno riconosciuto la Palestina non figuriamo neanche, sbandierando la vergognosa patacca che significherebbe una vittoria per Hamas, scodinzolando dietro al leit motiv del padrone stelle e strisce, Donald Trump, ormai nelle mani della cricca super sionista che detta legge alla Casa Bianca, come abbiamo documentato nei giorni scorsi.
Vediamo, in soldoni, cosa fanno e come si comportano nazioni del calibro di Regno Unito e Francia, Canada oppure Australia, che hanno appeno dato il loro ok allo Stato di Palestina, provocando le sdegnate reazioni del boia nazi di Tel Aviv, Bibi Netanyahu, super impegnato nel portare a termine l’Operazione Gedeone II e quindi completare il genocidio del popolo palestinese, studiato scientificamente per anni e provocato da quel 7 ottobre messo a segno da Hamas con la totale complicità e perfetta collusione dei servizi segreti israeliani, MOSSAD e SHIN BET.
Partiamo da Londra. Così parla il primo ministro britannico, il laburista (sic) Keir Starmer: “Di fronte al crescente orrore in Medio Oriente, stiamo agendo per mantenere in vita le possibilità di pace”.
Un LIAR (bugiardo) in piena regola, ed in perfetta sintonia con il suo predecessore ed ex numero uno del Labour Party, Tony Blair, fabbricante delle più atroci menzogne (le accuse a Saddam Hussein nel 2001 di possedere armi nucleari) che portarono all’invasione e devastazione dell’Iraq.
Così razzola la Gran Bretagna.
A settembre 2024 il governo guidato da mister Starmer ha optato per un “embargo parziale” sulle vendite di armi in direzione Tel Aviv, bloccando – venne detto esattamente un anno fa – le licenze di esportazione dei molte armi e prodotti militari. Una vera buffonata, una autentica presa per il culo: venne infatti data appena una limatina alle famigerate licenze, visto che ne sono state bloccate solo 30 su un totale di ben 300!
Umorismo british o cosa?
Capìta la figuraccia mondiale, l’esecutivo ha poi promesso & giurato di non vendere più ad Israele alcun componente del micidiale F-35, il velivolo killer protagonista nel massacro dei palestinesi nella Striscia di Gaza.
Non sono affatto convinte che abbia mantenuto la parola svariate associazioni, ong e movimenti, come ‘Palestine Youth Movement’, Progressive International’ e ‘Workers for a Free Palestine’: denunciano, infatti, che da Londra non sono mai cessate le esportazioni sul fronte delle forniture di componenti per il famigerato F-35.
Una conferma arriva anche da una rivista israeliana di contro-informazione, ‘Ynet’, secondo cui dal Regno Unito le forniture di armi non sono mai cessate e proseguono a ritmo serrato.
Passiamo alla Francia.
Ecco le parole di le Roi, Emmanuel Macron: “ E’ giunto il momento della pace. Perché siamo a pochi istanti dal non essere più in grado di conquistarla”.
La filosofia presidenziale, però, fa a pugni con la realtà dei fatti. E con la stessa promessa di stop all’export di armi verso Israele solennemente formulata dal capo dell’Eliseo un anno fa, ottobre 2024.
Le cifre, invece, parlano un altro linguaggio: nel periodo ottobre 2023-aprile 2025 la Francia ha inviato materiali militari all’esercito killer (IDF) di Tel Aviv per oltre 10 milioni di dollari: tra cui 15 milioni di bombe, tanto per gradire, poi granate, siluri, missili, lanciarazzi, lanciafiamme, fucili. Insomma, non manca proprio niente nell’arsenale ‘fantasma’, visto che non sarebbe mai dovuto partire…
Trasferiamoci in Canada, altra nazione che ha da poco riconosciuto lo stato della Palestina. Ed eccoci di fronte ad altre promesse da marinaio o, se preferite, a smaccate bugie governative.
Già ad inizio 2024, quindi più di un anno e mezzo fa, l’esecutivo proclama ai quattro venti di sospendere la concessione di licenze per l’export di armi ad Israele. Poi un cambio di rotta: potranno essere spedite solo “armi non letali”, forse fionde o pistole ad aria. Ma la realtà è totalmente diversa: per i due anni seguenti le vendite sono proseguite senza subire alcuna riduzione in base ai contratti certo non a breve termine stipulati proprio a gennaio 2024. E così sono sbarcate a Tel Aviv armi & munizioni per quasi 200 milioni di dollari, in due comode tranche (la prima oltre 100 e la seconda di circa 90). Cin cin.
Eccoci stavolta in Australia, dove stanno ancora stappando bottiglie di champagne per lo storico disco verde alla Palestina.
Anche in questo caso la promessa messa in campo dal premier Richard Marles a quanto pare si è sciolta come neve al sole. Così denunciano, in coro, i partiti di opposizione e le associazioni per i diritti umani, i quali puntano l’indice contro “il ruolo svolto dal paese nella produzione di componenti per gli F-35 e il ruolo cruciale nella catena di forniture per la fabbricazione di aerei da combattimento”. Non da poco.
Più coerente il Lussemburgo, altra nazione fresca di riconoscimento dello Stato palestinese. Giurano di aver sospeso ogni fornitura di armi offensive, ma ammettono di continuare in quella di armi difensive. Anche se la linea di confine è non poco labile.
Commenta l’Alta Commissaria ONU per i Diritti Umani, Navi Pillay: “L’assenza di azioni concrete, come la cessazione delle forniture di armi, equivale a complicità”. Ogni riconoscimento, quindi, resta solo una ipocrita formalità cartacea.
Altrettanto esplicita la presidente e Ceo del ‘Center for International Policy’, Nancy Okail: “Il riconoscimento della Palestina è importante. Ma resta un atto solo simbolico e privo di significato se non è abbinato all’interruzione dei trasferimenti di armi che di fatto alimentano il genocidio. E’ questo che crea un divario di responsabilità, dove ci sono nazioni che formalmente rispettano la legge internazionale, ma nei fatti la violano clamorosamente”.
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