Svolta (forse) storica in Corea del Sud.
Alle fresche presidenziali ha infatti trionfato il candidato progressista Lee Jae-myung, che ha sonoramente battuto (49,4 per cento contro 41,2 per cento) il rivale conservatore, Kim Moon-soo che fa capo al partito del numero uno precedente, il destituito (via impeachment) Yoon Suk-yeol, il quale aveva portato il Paese a pochi centimetri dal baratro della guerra civile, proclamando la legge marziale. Si aggiudicò la precedente tornata, il criminale Yoon, di una incollatura, appena 1 per cento in più dei suffragi.
A capo del primo partito di opposizione, il progressista DPK (Partito Democratico di Corea), il neo presidente Lee fu vittima di un attacco quasi mortale esattamente un anno e mezzo fa. Nel corso di un tour elettorale in vista delle politiche, infatti, era stato accoltellato in modo grave a Busan: man mano, per fortuna, si è ripreso.
Il suo impegno era tutto rivolto ad ottenere consensi nello scontro ingaggiato contro il Partito del Potere Popolare (PPP), la formazione conservatrice che aveva espresso il folle Yoon, il quale solo pochi mesi fa ha proclamato la legge marziale – senza alcun senso – in tutto il Paese, la miccia per le rivolte popolari che hanno portato subito alla sua clamorosa detronizzazione.
Ma veniamo alla intrigante figura del neo numero uno di Seul, che può davvero portare – se solo mantiene fede ad una parte delle promesse e premesse, visto il suo passato – sullo scacchiere geopolitico internazionale, e soprattutto ovviamente quello dello strategico Oriente, che polarizza gli interessi di super potenze come Cina, Giappone e Stati Uniti.
Nasce, 61 anni fa, da genitori che non hanno neanche gli occhi per piangere, due poveracci come neanche nel mitico film sudcoreano del 2019 Parasites. Addetti alla pulizia delle latrine pubbliche, ma in grado di crescere il piccolo Lee che, giovanissimo, cerca di alleviare sforzi e sofferenze dei genitori e rimboccarsi le maniche come carpentiere a nero. Riesce miracolosamente a studiare e, dopo inaudite peripezie, approda al college, come può fare un cercatore di acqua nel deserto. E qui comincia a capire come andò, realmente, il massacro di Gwangju: non ribelli e infami contro il governo, ma cittadini che avevano osato contestare e combattere il regime dispotico e vennero sterminati dalle milizie governative.
Da allora comincia un lungo cammino. Che lo porta alla laurea in legge, esercita la professione di avvocato per i diritti umani, a fianco degli ultimi, come si usa dire oggi. Poi inizia il suo percorso politico. E approda tra le fila della formazione progressista DPK.
Viene ben presto soprannominato il Bernie Sanders (ossia uno dei pochi veri democratici tra le fila del Partito Democratico negli Usa ridotto in macerie) sudcoreano, perché quando è stato governatore della tormentata provincia di Gyeonggi ha proposto l’adozione della misura di un ‘reddito base universale’ a favore dei giovani: un reddito di cittadinanza ante litteramcome quello studiato dai nostri 5Stelle, ma con i dovuti controlli (da noi invece non è successo, erogandolo perfino a criminali e negandolo a chi ne aveva realmente diritto).
Gli avversari, anche e soprattutto oggi, contestano a Lee una sfilza di procedimenti giudiziari che deve fronteggiare, addirittura cinque secondo i suoi accusatori: e per questo motivo non pochi lo paragonano ud un mini Trump (o, da noi, ad un piccolo Berlusconi). Si tratta di procedimenti in gran parte taroccati, fatti apposta per cercare di delegittimarlo: è accusato, addirittura, di essere una spia al soldo della Corea del Nord, di avervi trasferito ingenti somme; di aver reso falsa testimonianza oppure di aver “violato i doveri”, non si sa bene quali.
Lo dipingono come “un progressista spinto”. Lui, invece, molto più modestamente, si definisce “un pragmatico” o, se preferite, “un realista”. Che bada al sodo, a risolvere i problemi reali che assillano i cittadini.
In realtà, a spaventare i conservatori sudcoreani e, ancor più, gli inossidabili protettori a stelle e strisce, è la agenda politica che può, in concreto, innescare Lee.
Una agenda che, per fare il primo esempio, prevede un dialogo da intraprendere con gli eterni nemici nordcoreani e, soprattutto, con il nemico mortale di Washington, ossia il capo del governo di Pyongyang, il dittatore – come viene etichettato da tutte le illuminate democrazie occidentali – Kim Jong Un. Un boccone troppo difficile da digerire per la Casa Bianca: sempre osteggiato, fino alla fine, dalla amministrazione guidata da Joe Biden e comunque certo non ben visto anche dal governo guidato dal bipolare Donald Trump.
Ecco come analizzano la situazione in rapida evoluzione alcuni esperti di geopolitica: “Come Yoon aveva deciso di usare il pugno di ferro e adottare una linea dura contro la Corea del Nord, il neo presidente intende tornare a dialogare con Pyongyang per cercare una pace possibile”.
Poi, su un altro fronte: “Se Yoon aveva rafforzato i legami con il Giappone, su preciso input di Washington, per prendere sempre di più le distanze dalla Cina, Lee invece spinge per un riavvicinamento con Pechino, soprattutto in nome del commercio e dei rapporti di buon vicinato. Ed infatti, come Yoon aveva plasmato la politica estera di Seul solo sulla base dei piani della Casa Bianca di Joe Biden, Lee ha deciso di smarcarsi man mano dal sempre più condizionante abbraccio americano”.
Stessa musica, a quanto pare, anche sul fronte ucraino. Mentre Yoon si è regolarmente appiattito sul dossier
Kiev, seguendo in modo pedissequo gli ordini in arrivo dalla Casa Bianca, sembra che Lee intenda assumere una posizione molto più autonoma. Cosa che – come le altre – può dare non poco fastidio alla nomenklatura a stelle e strisce e ai suoi dreams, sempre e comunque, di super potenza che detta l’Agenda a tutti i Sudditi del Mondo.
Commenta il leader del partito progressista, Park Chan Dae: “Credo che il recente, grande sostegno popolare a Lee rifletta il forte desiderio di riprendersi dal crollo dei mezzi di sussistenza per tutti i cittadini e della economia, in sensibile declino. Situazioni che sono molto peggiorate negli ultimi tre anni sotto il governo di Yoon”. Nel primo trimestre 2025, infatti, i dati e gli indicatori economici hanno fatto segnare un marcata contrazione, una fase caratterizzata da scarsi consumi ed esportazioni in deciso calo.
E aggiunge, Park: “Non si tratta più di una lotta tra noi e loro. Ma è arrivato il momento di unire le forze, per salvare il Paese”.
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