DA GARLASCO AL CASO SIANI / TESTIMONI SILENZIATI DALLE PROCURE

Dai vergognosi ‘buchi neri’ e ‘misteri di Stato’ che hanno infestato la storia del nostro Paese fino ai grandi casi di cronaca mai chiariti e diventati altrettanto vergognosi ‘cold case’: ultimo, in ordine di tempo, il delitto di Garlasco avvenuto addirittura 18 anni fa.

Sorge spontanea la domanda. Ma ci sono o ci fanno tante, troppe toghe nostrane, responsabili in tanti, troppi casi di totale incapacità oppure depistatori e insabbiatori di professione? Perché terzium non datur: e nessuna toga mai ha pagato il fio per le proprie gigantesche azioni e/o omissioni che anche un cieco vedrebbe.

Fatti e misfatti che nel corso di tormentati decenni hanno impedito di conoscere le verità giudiziarie, in grado cioè di sbattere in galera i mandanti (rimasti sempre ‘a volto coperto’) di stragi e massacri, riuscendo (solo a volte) a trovare i ben più facili esecutori. Calpestando quindi la memoria di tante vittime innocenti, uccise una seconda volta.

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Nel fotomontaggio in apertura Chiara Poggi e Giancarlo Siani

La lista è tragicamente lunga e la ‘Voce’, in tanti anni, ha più volte puntato i riflettori con reportage e inchieste che hanno sbattuto contro i soliti muri di gomma, intrisi di omertà, collusioni e complicità ai livelli più alti: da Ustica al Moby Prince, dalla strage di Capaci a quella di via D‘Amelio, fino ai gialli degli omicidi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, di Pier Paolo Pasolini e, in campo sportivo, di Marco Pantani.

Veniamo al delitto di Garlasco, che sta riempiendo con continui colpi di scena tutti i notiziari ormai da giorni. Ribadiamo: Chiara Poggi venne ammazzata la bellezza di 18 anni. Quindi sorge in modo altrettanto spontaneo l‘interrogativo alto come un grattacielo: in che modo orripilante vennero condotte le prime, fondamentali indagini visto che ora, adesso, in queste ore ne stanno saltando fuori di tutti i colori?

Perché nessuno punta i riflettori su quegli inquirenti del tutto inetti oppure, come detto, insabbiatori che non hanno pagato niente, indenni, immacolati e in carriera pur dopo quelle nefandezze?

Spuntano come i funghi nuove prove e testi mai sentiti.

Rimbalzano impronte nelle cantine di venti anni fa e si moltiplicano i titoli.

Le Iene scovano una voce a quanto pare chiave, mai sentita in procura, e la RAI non ne parla nemmeno. Perfino guerra di antenne.

La Verità dei fatti presa a schiaffi, la Giustizia vilipesa in modo quotidiano. Vergogna senza fine e senza alcuna scusa.

Il giallo del teste mai ascoltato dalla procura dell‘epoca ci fa tornare alla mente un caso mai dimenticato e risolto solo a metà: quello Giancarlo Siani, il giovane cronista del Mattino ammazzato ormai quasi 40 anni fa. Dopo tortuosissime inchieste alla fine trovati, processati e condannati in via definitiva gli esecutori: ma i MANDANTI MAI, sempre liberi come fringuelli.

Una story che la Voce ha seguito per anni e anni. E proprio grazie ad una nostra inchiesta il caso, chiuso frettolosamente, venne riaperto.

Vi proponiamo subito un pezzo che riassume tutta la vicenda: messo in rete il 23 settembre 2020 si intitolava

GIANCARLO SIANI UCCISO 35 ANNI FA / KILLER IN GALERA, MANDANTI MAI

Nell‘articolo ad un certo punto trovate una frase, “testi cardine ‘arronzati’ o neanche mai sentiti”. Abbiamo fatto nomi e cognomi dei testi, due docenti universitari che conoscevano molto bene e frequentavano con assiduità il giovane reporter partenopeo. Si trattava di Amato Lamberti ed Alfonso Di Maio.

Amato Lamberti

Il primo, docente di Sociologia, fondò negli anni 70 il mitico Osservatorio sulla camorra al quale aveva subito cominciato a collaborare in modo molto concreto il giovanissimo Giancarlo che voleva fare la professione di giornalista d’inchiesta. Così esordì, in qualità di praticante, al Mattino, lavorando soprattutto nell‘area di Torre Annunziata, dove pullulavano all’epoca i clan e proliferavano grossi interessi e appalti miliardiari per la ricostruzione post sisma e non solo.

Lamberti, la sera prima dell’omicidio, aveva sentito per telefono Giancarlo, che si era mostrato preoccupato. Proprio per questo gli chiese di vedersi la mattina seguente.

Dopo alcuni giorni il fondatore dell‘Osservatorio andò in procura per riferire ai due inquirenti (Arcibaldo Miller e Guglielmo Palmeri) di quella inquietante conversazione. Nonché del lavoro investigativo che il giovane reporter stava svolgendo.

Un incontro piuttosto breve: tanto che abbiamo scritto di un teste ‘arronzato’, come si dice in gergo partenopeo, ossia ascoltato in fretta e furia, ‘tanto per fare’, in modo del tutto superficiale.

Arcibaldo Miller

E peggio andò ad Alfonso Di Maio, docente di storia contemporanea sempre presso l’ateneo partenopeo. Perché si presentò spontaneamente una prima volta, affermando di avere delle cose importanti da riferire sul caso Siani. Ma non trovò i giudici ad attenderlo. Poi un secondo appuntamento: fece anticamera ma nessuno pensò bene di riceverlo né tantomeno di farlo verbalizzare. Ai confini della realtà.

Il caso venne chiuso.

Dopo alcuni mesi, Di Maio si presentò alla nostra sede di piazza Mercato, a Napoli, e ci parlò di una serie di fatti che valutammo subito di grossa rilevanza. Riferì, in particolare, di un libro al calor bianco che Giancarlo stava per terminare sugli affari sporchi e miliardari della ricostruzione post sisma nell’area stabiese, feudo di ras della Dc locale e non solo. Faceva nomi di società e politici coinvolti fino al collo. Quella bozza finale non venne mai trovata: volatilizzata.

Registrammo la lunga conversazione e a dicembre 1991 pubblicammo una cover story, “Caso Siani ad una svolta / IL SUPERTESTE”.

L’inchiesta della Voce di dicembre 1991 sul caso Siani

La settimana seguente, come direttore delle Voce e autore dell’intervista, mi presentai all’ufficio denunce della procura depositando un esposto, e allegando una copia della Voce nonché della cassetta contenente la ricostruzione firmata Di Maio.

La Procura decise di riaprire il caso. Il fascicolo venne assegnato al pm Lucio Di Pietro (già protagonista nel caso Tortora). Venni convocato, verbalizzai. Il Mattino, in quei giorni, remava contro: nonostante si trattasse del giallo su un suo giovane cronista assassinato. In un trafiletto veniva già prevista la rapida archiviazione del caso!

Di Pietro venne assegnato ad altro incarico; il fascicolo passò ad un’altra toga, pochi mesi e venne trasferita a Bologna. Dopo mesi infine andò nelle mani del pm Armando D’Alterio, che svolse indagini molto scrupolose e poté valersi, strada facendo, di un pentito che raccontò dettagli sul fronte dell’organizzazione dell’omicidio. Alla fine, vennero arrestati e poi processati gli esecutori materiali.

Ma – come abbiamo scritto decine di volte – MANDANTI MAI.

Dopo trent’anni siamo alle solite.

Testi che riemergono dalle nebbie del passato, come a Garlasco.

In che paese siamo ridotti a vivere, anzi a sopravvivere…


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