A GERUSALEMME COME A SPARTA

Cosa hanno in comune Gerusalemme e Sparta? Poco, forse nulla. Ma ricordiamo che a Sparta se un figlio era deforme o poco prestante veniva gettato dal baratro del monte Taigeto. Il motivo? Non serviva alla città e per questo non era opportuno vivesse ancora né per sé stesso né per la causa comune. Nessuno però ha voluto ricordare che, in quella Grecia, Sparta è stata anche l’unica città a non lasciare all’umanità né uno scienziato, né un artista, né un poeta. Questo perché gli spartani senza esserne consapevoli, eliminando tutti i loro neonati più fragili, hanno ucciso anche quella componente di creatività che può nascere solo dalla sofferenza? Forse hanno così abortito, con la loro ferocia, tutta la genialità che si può sviluppare grazie al dolore delle persone fragili.

Chi non ha visto, almeno una volta nella vita, un dipinto di Caravaggio o letto una poesia della Merini, o ammirato un dipinto di van Gogh? Ci sarà pure un motivo se in ogni parte del mondo, a distanza di secoli, quelle produzioni artistiche continuano a suscitare forti emozioni. Ricordiamo che van Gogh ha dipinto la sua “Notte stellata” guardando il cielo dalla finestra di un manicomio e che Alda Merini è stata a sua volta rinchiusa in un manicomio.

Ma non basta. In molti hanno sostenuto che Caravaggio era pazzo e la stessa cosa è stata detta per Camille Claudel, Beethoven e persino per Socrate.

Perché? Forse, banalmente, solo perché non vivevano come gli altri pretendevano vivessero. Perché questi uomini sentivano e pensavano in modo diverso.

È successo a Sparta ieri, succede oggi a Gerusalemme.

Vogliamo ricordare che, se Sparta e stata l’emblema nel mondo antico di uno stile di vita pervaso di forza e di efficienza, Gerusalemme lo è stata dal dopoguerra per tutto il mondo occidentale. È stata sempre considerata un esempio di organizzazione e di buone pratiche, di operosità, di efficienza e di forza. È riuscita persino a trasformare la sua parte di deserto in terra coltivata, ha esaltato la sua organizzazione nei Kibbutz ricercando una vita comunitaria ed esaltando la solidarietà interumana, ma lo ha fatto scacciando i palestinesi e praticandola solo tra coloni ebrei. Nel mondo spartano non c’era spazio per l’iniziativa individuale, per la libertà d’azione, per i sentimenti e la vita dei cittadini era militarizzata e seguiva accettava acriticamente ordini e regole, così appare oggi il mondo di Israele. Ogni aspetto della vita di quegli antichi cittadini-soldato era controllato dallo Stato. Essere un buon guerriero era l’unico vero scopo dello spartano. Proprio come oggi essere un buon ebreo lo è per Israele.

Ma Israele ha in sé anche il germe della cultura, che è imprescindibile da quello della tolleranza. E allora perché rifiutare il processo di integrazione con il popolo della Palestina che, lo ricordiamo, già abitava quelle terre che oggi rivendicano in virtù di un lontano dettato biblico. Il motivo vero ridiede nel fatto che i palestinesi sono poveri? O solo diversi? No! questo tipo di atteggiamento comporterebbe solo l’effetto di soffocare la bellezza, la creatività e impedirebbe lo sviluppo armonioso di una nuova società, perché la incattivisce e la trasforma in una immonda dittatura.

Tutto questo il popolo d’Israele lo sa bene per averlo drammaticamente vissuto sulla propria pelle. Chi era diverso doveva sparire. O, al massimo, essere sfruttato proprio come accade oggi a quei lavoratori palestinesi che attraversano ogni giorno il confine tra i territori loro assegnati e lo Stato di Israele per lavorare con gli israeliani nelle loro fabbriche, nelle loro aziende agricole e, quando possono, per studiare nelle loro università. Chi va in Israele si accorge che quei due popoli non sono poi così diversi. Persino il cibo, le loro tradizioni si somigliano e loro stessi si somigliano molto anche fisicamente. Sono diverse solo le religioni che praticano, anche se le radici sono molto più vicine di quanto si possa immaginare.

Ma c’è ancora oggi chi vuole uno Stato di cittadini-soldato? Chi si condanna a vivere in una società di odio e perennemente in guerra con un’altra parte di uomini e donne che dividono il suo stesso territorio? Chi arriva a concepire lo sterminio di una parte di popolazione, come se ciò poi non producesse altro odio nelle generazioni future?

I più convinti fautori dello sviluppo capitalistico, ossia di quel tipo di società che auspicavano e volevano esportare nel mondo gli americani prima di Trump, era fatta semmai di cittadini-consumatori. Persone pacifiche, che pensano in modo prevedibile e per questo facilmente controllabile. Allora non servono né filosofi, né pensatori, né artisti ma solo poveri a cui offrire lavoro a basso costo. In questo caso conoscere la Storia non serve. Ad un popolo di uomini-macchina non serve a nulla un grande bagaglio di conoscenze. Eppure, servirebbe, e tanto, accogliere … unico presupposto per promuovere una cultura della pace.  


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