CONCLAVE / LE VISIONI DI DON VITALIANO

Don Vitaliano Della Sala

È il luminoso mattino di Pasqua del 2035. Sul balcone c’è il papa per la tradizionale benedizione Urbi et Orbi. Ma c’è poco di tradizionale in questa benedizione pasquale. Innanzitutto, insieme al papa cattolico ci sono i capi e i rappresentanti di tutte le confessioni cristiane, compreso il nuovo patriarca di tutte le Russie, che testimoniano i tanti passi avanti fatti nel cammino ecumenico. Ormai, dopo secoli di controversie, la data della Pasqua è unica per tutti i cristiani. Spiccano, tra i vescovi cattolici presenti, le prime donne consacrate lo scorso anno dal papa, mentre gli ortodossi non hanno ancora deciso, ma la discussione è aperta e il confronto fraterno.

Nemmeno il luogo è tradizionale. Il rito si tiene a Gerusalemme, che ha ospitato lo storico incontro ecumenico durante la settimana santa, che ha visto le liturgie più sacre concelebrate insieme dai leader religiosi. In realtà, il papa cattolico già da tre anni ha abbandonato il balcone di san Pietro, la finestra del palazzo apostolico e i privilegi legati al suo essere Capo di Stato, e ha intrapreso un pellegrinaggio tra le varie comunità cristiane “per confermarle nella fede”. Viaggia con aerei di linea, senza seguito né papamobile, niente a che vedere con i vecchi viaggi apostolici. Il Vaticano, poi, è diventato un grande museo, e solo raramente la basilica di san Pietro ospita liturgie papali. Anche le varie Congregazioni della Santa Sede, in piena fase di profonda trasformazione, hanno quasi tutte smobilitato dalle mura leonine per trasferirsi altrove.

 

Karol Wojtyla

Nel lontano 1978, con la nomina a Sommo Pontefice del polacco Karol Wojtyla, la Chiesa cattolica, con una mossa strategica da vera superpotenza mondiale, scelse un papa che avrebbe dovuto dare una spallata definitiva agli illiberali e agonizzanti regimi dell’Est europeo, come poi è realmente avvenuto. Realizzato il progetto di contribuire ad abbattere i regimi comunisti, Giovanni Paolo II intraprese una crociata contro capitalismo, consumismo, neoliberismo sfrenato e globalizzazione dei mercati, che calpestano l’uomo quanto, se non peggio, del regime sovietico.

Alla morte di Wojtyla, rinunciando all’idea della nomina di un papa che desse una spallata agli USA e a quello che rappresentano, la Chiesa cattolica sembrava intenzionata a “concentrarsi” sulla Cina. La superpotenza che vive un’inarrestabile ascesa economica, realizzata sulla pelle dei cinesi, rappresenta insieme il peggio degli Stati Uniti e il peggio dell’Unione Sovietica; il peggio del capitalismo selvaggio e disumano e il peggio della violazione dei diritti umani. Con il Conclave per eleggere il successore di Giovanni Paolo II, la Chiesa cattolica aveva la possibilità di volare alto, di mostrare la sua lungimiranza politica, l’attenzione ai grandi problemi che affliggono l’umanità: molti speravano nella nomina a papa del “leggendario” cardinale in pectore cinese che avrebbe fatto esplodere le contraddizioni del grande e popoloso Paese asiatico.

Joseph Ratzinger

Invece la scelta cadde sul cardinale Joseph Ratzinger e sulla sua crociata contro la modernità e la laicità europea, per una imposizione dei valori cristiani occidentali come guida degli Stati. Ratzinger il programma del suo pontificato lo aveva già enunciato prima della nomina a papa. Da anni la Congregazione per la Dottrina della Fede, da lui presieduta, sfornava documenti tanto chiari quanto intolleranti. E si contano a decine i processi e i provvedimenti canonici emessi contro vescovi, teologi, sacerdoti e suore: nella Chiesa si viveva un clima di sospetto. Uomini e donne che si erano distinti per il loro pensiero critico e per la loro energica volontà di riforme, erano trattati con metodi da Inquisizione. Non avveniva da decenni che nella Chiesa ci fosse tanto terrore ad esternare le proprie idee, si rafforzavano sempre più i tratti di una Chiesa intollerante, arrogante, inumana, che parlava di diritti dell’uomo all’esterno, ma non li rispetta al suo interno.

Furono relegati ai margini autentici testimoni di Gesù Cristo, colpevoli di aver urtato il potere, battuto vie nuove, quelle strade su cui subito cominciano a camminare gli ultimi, i poveri di Dio, e sulle quali invece inciampano, scandalizzati, i potenti.

Insomma, dopo la dolce primavera del Concilio Vaticano II, tutto lasciava intravedere un periodo buio per la vita della Chiesa, un inevitabile autunno, se non addirittura un terribile inverno.

Cristianamente molti continuarono a sperare, noi cristiani crediamo ai miracoli, crediamo all’intervento della tenerezza di Dio nella storia dell’umanità: quel Dio Padre-Madre che, come racconta inequivocabilmente il Vangelo, sa trasformare le cose umanamente impossibili in possibilità sconvolgenti. E arrivò papa Francesco.

Papa Francesco col Patriarca Bartolomeo

 

Ma torniamo alla Pasqua 2035. Il papa “felicemente regnante” si chiama Giacomo, come il suo lontano predecessore, quando era arcivescovo di Bologna, quel cardinal Giacomo Lercaro che improvvisamente, nel lontano 1968, lasciò la guida della diocesi di san Petronio, ufficialmente “per motivi di salute”. In realtà la sua fu una vera ”rimozione”. Secondo don Giuseppe Dossetti – che lo aveva accompagnato al Concilio Vaticano II – alle insolite “dimissioni” contribuirono «più motivi e più agenti: una certa base di responsabili a cui non piaceva la riforma liturgica alla quale Lercaro aveva incisivamente contribuito; alcuni vertici che erano preoccupati per le sue insistenze sull’importanza delle chiese locali; infine, non come unica causa, ma certo come goccia che ha fatto traboccare il vaso, il suo insegnamento sulla pace».

Il cardinale Giacomo Lercaro

Il 1° gennaio 1968, infatti, l’omelia della messa per la “giornata della pace” fu una forte condanna ai bombardamenti Usa sul Vietnam: «di fronte al male – tuonò il cardinale – la via della Chiesa non è la neutralità, ma la profezia». Un mese dopo, l’arcivescovo di Bologna riceveva forti pressioni vaticane per “dimettersi” dal governo della diocesi. Una vera e propria “destituzione” senza precedenti, della quale, forse ingiustamente, fu incolpato Paolo VI, probabilmente ignaro della vicenda, voluta invece fortemente da ambienti reazionari vaticani che, anzi, attraverso Lercaro volevano colpire proprio il “moderato progressista” papa Montini. Punire le aperture del cardinale di Bologna fu il modo per dare una lezione a tutti coloro che, ispirati dal Concilio, studiavano e cominciavano a realizzare cambiamenti nelle chiese locali, che “scandalizzavano” coloro che, soprattutto nella Curia romana, si auguravano e brigavano per un riassorbimento delle “novità conciliari”. Gli ambienti reazionari della Curia vaticana, impauriti dalla fecondità del Concilio che intendevano sterilizzare, «volevano impedire – scrive lo storico Alberto Melloni – che la Chiesa italiana potesse liberarsi della tiepidezza politicante che di lì a poco l’avrebbe esiliata per molto tempo dal papato».

Con la “punizione” del cardinal Lercaro, l’operazione anti-conciliare delle destre ecclesiastiche e politiche, in parte, andò a segno. Con la sua “silenziata” uscita di scena sarà quasi del tutto interrotto o ritardato il processo di radicale rinnovamento ecclesiale in atto nella chiesa italiana. Almeno fino all’elezione a vescovo di Roma dell’arcivescovo di Buenos Aires cardinale Bergoglio, argentino di origini italiane. Scegliendo il nome di Francesco, ha avviato tanti processi di riforma della Chiesa cattolica, affidandoli al suo successore, il cardinale Luis Antonio Tagle, filippino, che è la prova di una Chiesa nuovamente “concentreta” sul “continente” cinese.

Luis Antonio Tagle

 

Il nuovo papa ha continuato a camminare sulla strada tracciata dal Concilio e da Francesco. Tra le altre ha introdotto una riforma impensabile solo pochi anni prima: non sarà più il Collegio dei cardinali – che probabilmente verrà abolito – ad eleggere il vescovo di Roma, ma rappresentanti delle varie Conferenze episcopali.

Alla morte del successore di papa Francesco, i voti del nuovo conclave sono andati al vescovo di Bologna, metafora della voglia diffusa di realizzare quella “Chiesa in uscita” sognata da papa Francesco. La scelta del nome, Giacomo, è una sorta di “santa vendetta” per l’ingiustizia subita, più di mezzo secolo prima, dal cardinal Lercaro, e un tardivo risarcimento alla maggioranza dei cattolici per i continui ritardi nella realizzazione delle “riforme” avviate dal Concilio.

Matteo Zuppi

Mentre papa Giacomo pronuncia le sue prime parole dalla loggia delle benedizioni di Gerusalemme, a Pasqua del 2035, stranamente irrompe in sottofondo, confusamente, come da lontano, la voce del giornalista che dal televisore dimenticato acceso, parla del fanta-papa, le inutili previsioni sul nome del futuro pontefice: tra gli altri sta citando proprio i cardinali Tagle e Zuppi.

Improvvisamente mi sveglio del tutto. È ancora maggio del 2025, non è ancora cominciato il conclave per eleggere il successore di papa Francesco: stavo solo sognando. Un gran bel sogno!

Non so chi sarà il prossimo papa, ma spero che il suo successore, anche se non italiano, assomigli molto a papa Giacomo del mio ingarbugliato sogno.


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