REVISIONISTI DI COMODO

Una cosuccia da niente, cosa volete che sia la reticenza della signorina presidentessa del coniglio che rifiuta di dirsi antifascista (il copyright della felice variante che priva consiglio della ‘s’ centrale si deve all’exploit satirico di Elly Schlein, merito al merito). Ella non enumera tra i suoi estimatori solo la sorellona Arianna, i dintorni dell’esecutivo orgogliosamente neofascista: tele protagonisti seriali (giornalisti e non) alcuni teoricamente insospettabili, per misteriose elucubrazioni, o probabilmente indotti da velleitarismo anticonformista, contestano l’antifascismo (più volte Padellaro, che ha attraversato il mondo dei media in lungo e in largo, a suo tempo direttore dell’Unità.  Sua l’accusa di professionismo degli antifascisti”. “La Meloni? Non è il male, è osteggiata a torto”).

Stupisce ma diventa presto ragionevole il sospetto sulla responsabilità di incomprensibili disfunzioni della materia grigia che invitata a liberarsi, archiviandole in angoli remoti della memoria, le obiezioni di chi ritiene “Yo soy Giorgia” leader non secondaria degli untori che contagiano mezzo mondo con il virus dell’antidemocrazia. Da lei mai una risposta al diritto elementare di conoscere l’elenco, pur minimo, delle ‘cose’ fatte dall’ormai lontano insediamento della destra a Palazzo Chigi fino a questo 25 aprile del 2025. Alla vezzosa, a tratti iraconda biondina si può riconoscere di essere un’abile affabulatrice, dote che ovviamente non compensa l’infinita lista di bugie, promesse da marinaia, la contiguità diretta o collaterale sommariamente mascherata con il neofascismo personale e il pool di nostalgici del Ventennio, il dilagante amichettismo, la collateralità con soggetti come Trump, Orban, Milei, il rampante nazifascismo tedesco, la copertura mediatica del nulla in bilancio con il metodo della  polvere sotto il tappeto, i flop di cui si perde il conto per quanti sono, la crescente repressione dei diritti, il clima scelbino di ritorno. Circola da tempo e sempre con maggiore spinta al coinvolgimento, la tesi di un effetto boomerang che sconsiglierebbe alle opposizioni il tentativo di scardinare il raffazzonato regime della destra con attacchi concentrici, reiterati al neofascismo, con la campagna permanente dell’antifascismo.

A smentire chi lo pensa provvede la stessa Meloni e ancora più il mussoliniano La Russa. Prendono la ‘palla la balzo’ del 25 aprile per fingere condivisione con i valori della Resistenza e distanza dal fascismo. Non è difficile intuire il perché dell’inversione di marcia: lei, lui e gli altri sanno che l’incedere sempre più spavaldo dei nostalgici del Ventennio, certificato da mille impuniti episodi, a lungo andare può ridestare il Paese dal letargo e trascinare giù la destra dalle stelle alle stalle. Allora fingere moderazione e via.

 

Nella foto, Giorgia Meloni col premier argentino Milei


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