È durato 12 anni il pontificato di papa Francesco: per chi li vive un’eternità; per l’eternità un attimo. Solo 12 anni fa eravamo alle prese con una gerarchia vaticana che godeva nel mostrare il suo volto peggiore, con tratti marcatamente reazionari e antidemocratici, incline a sorvolare sulla pedofilia e sugli scandali legati alla banca vaticana, capace di punire duramente non solo chi dissentiva, ma anche chi si permetteva di porsi domande sull’ecclesiologia, sull’infallibilità del papa, sulla reale portata storica del Concilio, sul sacerdozio alle donne, sul celibato dei preti, sui diversi modi di essere famiglia, su quei valori cosiddetti “non negoziabili”. Discutere di questi e altri argomenti ha significato, per molti, subire punizioni canoniche di ogni tipo. Non avveniva da decenni che nella Chiesa ci fosse tanto terrore ad esternare le proprie idee, come è avvenuto nel trentennio di pontificato Wojtyla-Ratzinger; con loro si sono rafforzati i tratti di una Chiesa intollerante, arrogante, inumana, che pretendeva il rispetto dei diritti dell’essere umano all’esterno, ma non li rispettava per nulla al proprio interno.
Ora tutto sembra essere cambiato. La gerarchia, che ha al vertice papa Francesco, non spaventa più chi non la pensa o vive secondo il pensiero unico vaticano. Mi chiedo, e con me se lo chiedono in tanti: forse è veramente iniziato il tempo di una Chiesa inclusiva, che non emargina, non usa la pesante scure del giudizio contro nessuno, una Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione? Ammirando i gesti e riascoltando le parole di papa Francesco sembrerebbe di sì. E il prossimo papa dovrà per forza tenerne conto; indietro non si può più tornare.
Forse per capire “il cambiamento d’epoca” che la Chiesa ha vissuto in questi 12 anni, conviene farci guidare dalla storia. L’ideale di vita di san Francesco, il cui nome era stato coraggiosamente scelto papa Bergoglio, comprendeva una povertà radicale, il rifiuto di ogni potere, il riferimento costante al Vangelo “sine glossa”, cioè alla lettera. I problemi cominciano a sorgere quando i frati aumentano notevolmente di numero e si ritrovano in un movimento senza regole né strutture: una bella utopia realizzabile, forse, da piccoli gruppi di “pazzi”, certamente non con migliaia di frati – quanti avevano scelto di seguire Francesco – sparsi per l’Europa, con le loro esigenze, le loro piccole e grandi necessità, e con l’esigenza-tentazione di darsi delle regole, anzi una Regola.
Le versioni proposte dal santo furono tutte bocciate, dai frati o dalla Curia Romana che, più o meno insieme, gliene confezionano una che è lontana dalle sue scelte e allontana definitivamente i frati dal sogno di Francesco, che deluso rinuncia alla leadership del suo movimento, ormai diventato Ordine dei Frati Minori, con strutture, proprietà e gerarchia. Il Potere, che per un momento solo era sembrato scosso dalle scelte di Francesco, trionfava, come sempre. Restano l’esempio concreto del giullare di Dio, che comunque attraverserà tutta la storia, il racconto di papa Innocenzo che sogna l’umile Francesco mentre sorregge, con un gesto molto eloquente, la Basilica del Laterano. Con papa Bergoglio è avvenuto che Francesco ha preso il posto di Innocenzo, il più potente papa della storia, contemporaneo del santo. Le scelte del poverello d’Assisi sono diventare il programma del pontificato di papa Francesco e la sua eredità. Perciò penso sia stato più profeta che monarca: la carità è sempre profetica, se è vero che per profezia si intende una conoscenza che riconduce il reale attuale al suo dover essere futuro.
Quando è stato eletto papa Francesco, lo confesso, non mi sono fidato subito di lui e resto convinto che non sia normale, che i tentativi di cambiamento vengano dal vertice e non dalla base della Chiesa. Invece in questi 12 anni, il volto della Chiesa cattolica è cambiato più di quanto si immagini: è ormai impossibile pensare ad essa come un monolito, del tutto corrispondente al dettato dei numerosissimi documenti curiali. Il cambiamento, che è avvenuto è sotto gli occhi di tutti. Questo vuol dire che nessuno è riuscito a impedire che il cattolicesimo proseguisse quel cammino di rinnovamento iniziato con la seconda metà dello scorso secolo e con il Concilio Ecumenico Vaticano II.
Ma non condivido lo strepito che sta facendo “la folla” e i troppi potenti che si dicono addolorati; non credo all’angoscia nazionale raccontata dai giornali e dal “salotto buono” di Bruno Vespa, preoccupato dell’audience; non credo nemmeno nelle lacrime dei tanti in piazza S. Pietro, che in questo modo scaricano collettivamente altre angosce e altre paure, preoccupati esclusivamente di immortalare sul display del loro telefonino l’immagine del corpo esanime del papa. Ora i potenti sfilano, come in passerella, accanto alla salma muta del papa. È strano, lo hanno sempre applaudito, ipocritamente, gli stessi potenti che il papa ha tante volte bacchettato! Gli stessi potenti che causano le povertà sulle quali papa Francesco si è chinato; gli stessi potenti che scatenano le guerre contro le quali lui si è scagliato: se non hanno raccolto la sua sfida quando era vivo, non lo faranno neanche ora che è morto.
Nel Vangelo c’è una parabola che racconta bene la Chiesa che papa Francesco sognava. In essa Gesù paragona il Regno di Dio, quindi la Chiesa, a un granello di senape, il più piccolo tra semi che però diventa un albero frondoso, “e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra”: paradigma della Chiesa-altra che sempre più cattolici sognano e si impegnano a costruire. Una Chiesa inclusiva, che non emargina, non usa la pesante scure del giudizio su nessuno, una Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione.
Anche nei suoi ultimi giorni terreni ci ha dato grandi insegnamenti; ci ha dimostrato come si soffre e si muore da cristiani, ci ha insegnato che la morte, quando arriva, deve trovarci vivi. È stata forse la sua lezione più alta. Resterà sempre impresso nella memoria collettiva la sua ultima benedizione, con un filo di voce, a Pasqua, affacciato su piazza San Pietro. Sicuramente ha intuito che non sarebbe mai più riuscito a parlare. Allora, in quelle sue ultime flebili parole, ho ascoltato il grido di dolore di tutti i poveri del mondo, che ha simbolicamente abbracciato nel suo ultimo giro tra la folla, sofferente sulla papa mobile.
Ora c’è da chiedersi: cosa succederà dopo Francesco? Il sogno continuerà e diventerà sempre più reale, resterà un sogno o si trasformerà in incubo? E’ veramente cambiata la gerarchia cattolica? E si è ridotta la distanza tra questa e la base della Chiesa? E questa è maggiormente cosciente di essere la parte più importante della Chiesa? Insomma, è servito a qualcosa far insediare Francesco nel cuore di Roma, un papa che si è ispirato al poverello di Assisi sul trono che fu di Innocenzo III?
Sono certo che sia comunque saggio e lungimirante vivere questo momento come una grande opportunità storica per la Chiesa, nella quale papa Francesco ha avviato tanti processi di cambiamento che altri dovranno continuare. E per non ridurre le parole e i gesti di papa Francesco a qualcosa di stravagante; e per non arrivare ancora una volta tardi all’appuntamento con la Storia, non bastano più solo le parole e i gesti di “Pietro”, occorre che si coinvolga tutta la Chiesa in questo cammino di rinnovamento.
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