Welcome mister Vance

Al ‘do ut des’ dei disumani che amano chi li ama e odiano chi li odia, Cristo non è stato magister ascoltato dai suoi figli degeneri. E si intuisce cosa faccia uscire dall’ugola dell’itterico Vance l’odioso (scusate la l’antipatica contiguità con quel che segue) il garbato, corretto, amichevole “Odio l’Europa” deve essere sfuggito all’attenzione di Fazzolari, suggeritore della signorina presidentessa del coniglio, pardon del consiglio, che con espressione tipica dei suoi trascorsi politici penserà ‘chi se ne frega’ e tra non molto riceverà l’alter ego dei tycoon americano in amicizia, stima e cordialità. Ma scusate, ammmetto chec’è convinto antagonismo nel pensarlo e scriverlo.

Dopo sofferta riflessione è forte la tentazione di assolvere Vance e l’offesa parallela di Trump ai “parassiti europei”. Bisogna capirli. Il loro è astio da invidia a lungo repressa, simile alla frustrazione di un mediocre giocatore di basket per l’immensa, irraggiungibile classe del fenomeno LeBron, star mondiale del suo sport. In tema di dazi, di export, essi patiscono il complesso d’inferiorità. In evidente deficit cognitivo, impegnati a soddisfare la domanda di velleitario suprematismo della mediocre platea di followers, non colgono la dimensione del loro gap rispetto alla storia, alla cultura, alla superiorità dell’Europa, alla ‘grande bellezza’ esportata nel nascente agglomerato degli Stati Uniti, altrimenti destinato a proporsi con orgoglio nazionale solo per la new architecture dei grattacieli, la potenza militare ed economica, solo in parte endogena, per lo più d’importazione (emblematico è il flusso delle enormi risorse finanziarie di provenienza ebraica, che spiega anche il generoso, permanente  sodalizio con la barbarie di Netanyahu).

Si conclude con un triste finale la favola di Giorgia, premier che per presunto amichettismo con la Casa Bianca  avrebbe dovuto godere di un trattamento di favore, con più ‘umane’ imposizioni dei dazi e assumere la delegga di ‘ponte tra Stati Uniti ed Europa. Di favoritismi ed è un nuovo esempio di odio per l’Europa, si avvantaggia la Gran Bretagna, premiata per aver divorziato dalla Ue: dazi del 10, anziché del 20%. E la Meloni? Crollo delle borse, interi comparti dell’economia in recessione, licenziamenti, crisi epocale del made in Italy e lei? “Non è una catastrofe, no al ‘dente per dente’, trattiamo”.  Salvini anche meglio: “I dazi? Possono essere una risorsa!” Ovvero, opinioni da ‘Porgi l’altra guancia’ mentre è in corso la stangata per l’Italia del comparto alimentare, dei macchinari, della moda, che fino alla strangolatura dei dazi ha esportato per 65 miliardi di euro all’anno negli Stati Uniti. Non un cenno alla cifra astronomica di quanto importiamo dal Paese di Trump e Vance. Non succederà (l’America, continua a dire Giorgia, “è nostra amica!”) ma dovremmo almeno minacciare di rispondere con ‘dazio contro dazio’ sulle le centinaia di prodotti americani che affollano i nostri mercati interni, e indurre Trump a più miti consigli.


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