Amos Oz è stato uno dei più grandi scrittori della storia della letteratura ebraica e uno dei più prestigiosi intellettuali del suo paese. Ha scritto, tra l’altro un romanzo autobiografico (Una storia di amore e di tenebra) nel quale ha raccontato le vicende storiche del nascente Stato di Israele dalla fine del protettorato britannico, alla guerra di indipendenza, agli attacchi terroristici dei Fedayin fino a descrivere la vita nei kibbutz. Il tutto parlando della storia della sua famiglia sconvolta, quando aveva appena dodici anni, dal suicidio della madre. L’elaborazione di quel dolore si trasformò presto in un forte contrasto con il padre, un intellettuale vicino alla destra ebraica. Dal contrasto padre-figlio scaturì la sua decisione di entrare nel kibbutz Hulda e di cambiare il cognome originario “Klausner” in “Oz”, che in lingua ebraica significa “forza”.
È stato fino al 2019, anno della sua morte, uno dei più ascoltati esponenti di quello che fu denominato “il campo di pace”. Era una voce realista che auspicava un divorzio consensuale tra israeliani e palestinesi. Sosteneva la teoria dei “due paesi per due popoli”. Era un sostenitore del compromesso per far convivere entità diverse e questo non solo in politica, ma anche nei rapporti umani. L’alternativa al compromesso e al radicalismo in politica rischiasse di tramutarsi in fanatismo.
Nel 2015 tenne una relazione sulla sicurezza dello Stato di Israele ad un congresso della INSS (il principale think tank israeliano) nella quale parlò dei rischi insiti nell’assecondare la volontà della destra più radicale, quella nazional-religiosa. Fu profetico. Disse, con la lungimiranza propria dei grandi intellettuali, che quella destra intransigente avrebbe messo a repentaglio la sopravvivenza dello Stato ebraico perché non avrebbe mediato con i palestinesi pur di affermare il diritto alla biblica integrità territoriale. Ed era noto che per ottenere quella integrità la destra intendeva usare la forza e, se necessario, usarne sempre più, fino alla “soluzione finale”. Parole che fanno veramente male se pronunciate da rappresentanti di un popolo che aveva a sua volta orrendamente subito le conseguenze di quella stessa teoria.
Nel suo discorso Oz disse anche che il conflitto tra israeliani e palestinesi doveva avere una soluzione politica che tenesse conto dei diritti di entrambi. Si riferiva alla teoria dei due Stati. Detta così, sembrerebbe banale, o almeno così poteva sembrare fino all’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre, ma anche fino alla catastrofe di Gaza, alla guerra in Libano e al recente inasprirsi del conflitto con l’Iran.
Quando Oz ha parlato di politica e della sopravvivenza del suo popolo, non ha mai usato mediazioni pronunciando parole precise. Si è sempre mostrato consapevole di quanto possa essere pericolosa l’idea che hanno del mondo e dello Stato. Mise in guardia sul rischio di dare credito a chi pensa che quel tipo di conflitto potesse essere gestito senza affrontare contemporaneamente la questione dell’occupazione violenta dei territori palestinesi. Mise in guardia chi persegue il sogno della Grande Israele. Scambiando così i propri sogni con una possibile realtà, ma mettendo così in pericolo l’esistenza stessa del Paese.
Non aveva parlato, almeno non quella volta, di etica né aveva ripetuto il suo usuale discorso sull’occupazione violenta di un territorio che “fa male agli occupati e corrompe moralmente gli occupanti”. Il suo fu un bel discorso di realpolitik. Ricordò ai suoi connazionali che lo Stato di Israele era finalmente riconosciuto da quasi tutte le nazioni del mondo. Aggiunse che la forza di Israele era nel perseguire l’idea della pacificazione anche quando Hamas, Hezbollah e l’Iran non sono pronte a fare altrettanto. Oggi allora che fare? La risposta che indicò fu la più semplice “… essere felici e godere di quello che ora abbiamo nei confini del 1967, perché siamo universalmente riconosciuti da tutti”. Oz fece allora il seguente ragionamento “… i messianici, le forze più radicali della destra, parlano del diritto alla Spianata delle Moschee? Ma quale sarebbe il prezzo per conquistare quel diritto?” e aggiunse “… le destre, rivendicano il possesso della Cisgiordania? E anche in questo caso quale sarebbe il costo? Se attuare queste rivendicazioni può portare a una guerra regionale o, peggio, a una guerra con tutto il mondo islamico, non sarebbe forse più conveniente rinunciare?”. Per sostenere queste sue idee usava fare un esempio “Io ho il diritto di attraversare una strada sulle strisce pedonali. Ma se in quel momento sopraggiunge un’automobile che corre a forte velocità, farei meglio a non attraversare la strada solo per attuare quel mio desiderio”.
Oz in sostanza mise in guardia da decisioni affrettate prese da un Paese circondato da comunità ostili se si fosse trovato isolato affidandosi alle destre più radicali, convinte che con la forza avrebbero potuto imporre le loro soluzioni. E allora, se non fosse bastata la forza e per vincere “occorreva ancora più forza”? Ci sarebbe stata un’escalation che poteva portare all’isolamento di Israele. Questa è il rischio insito nella situazione di oggi. E ammoniva che una Israele isolata nel mondo avrebbe rischiato di non sopravvivere.
Una voce profetica? Forse, certamente l’intonazione usata da Oz era allora da profeta. A quei tempi, Oz non poteva certo immaginare il grado di violenza che avrebbe esercitato Hamas il 7 ottobre, ma temeva le conseguenze del modo di pensare della destra israeliana, per non parlare della violenza esercitata dai coloni fondamentalisti. Questi considerano i diritti altrui … e non solo dei palestinesi, ma di tutti coloro che non la pensano come loro.
Il fanatismo, sosteneva Oz, è spesso sinonimo di nichilismo e rischia di far crescere solo il desiderio di uccidere, fino a sterminare, gli avversari.
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