Aumentano a dismisura le aggressioni al personale sanitario nei nostri ospedali. Molti identificano il nemico della propria salute proprio in quegli operatori che lavorano giorno e notte, senza garanzie di sorta e troppo spesso senza nemmeno ricevere un cambio turno causa l’enorme carenza di personale a cui pare proprio non si riesca a porre rimedio. Mancanza di risorse? Incapacità gestionale? o una precisa scelta politica magari per dirottare il poco danaro disponibile verso altro, che sia poi un inutile quanto irrealizzabile mega-ponte sullo stretto, o l’allargamento di una ingiusta flax tax o l’introduzione di prebende e privilegi clientelari verso quelle categorie privilegiate considerate amiche, come balneari o tassinari. Non è dato sapere.
Ci chiediamo come è possibile passare nella considerazione dell’opinione pubblica, in pochi mesi, da eroi della pandemia a professionisti incapaci e incompetenti. Eppure, è accaduto. Agli operatori sanitari dei nostri pronto soccorso ospedalieri, in particolare nel meridione dove il SSN funziona peggio per la cronica carenza di strutture, tecnologie e personale, dove le difficoltà organizzative sono enormi e, soprattutto, dove non si intravede alcuna inversione di tendenza. Aggressioni fino a ignobili “spedizioni punitive”, hanno causato devastazioni strutturali e lesioni fisiche agli operatori di turno. Tutto ciò ha prodotto, naturalmente, una ulteriore fuga di medici e di infermieri verso il privato o trasferimenti massicci in altre regioni con condizioni lavorative migliori … anche sotto l’aspetto retributivo.
Alla faccia di chi tenta di spacciare la sanità locale come la migliore. Non è vero. E lo sappiamo tutti, soprattutto quando se abbiamo a che fare direttamente con i nostri ospedali. Ciò riconoscendo a molti medici e infermieri una grande capacità tecnica e tanta dedizione, ma che opera in condizioni strutturali raramente adeguate a rispondere ai bisogni di salute della popolazione di riferimento e che giocoforza non riescono a fornire un’assistenza dignitosa. Oggi mancano le risorse necessarie e chissà cosa accadrà se si dovesse attuare i dispositivi dell’autonomia differenziata.
Ma, forse, il fatto che la violenza di una utenza sempre più esasperata si manifesta pesantemente nei confronti del “personale di frontiera” – quello dei servizi di urgenza a diretto contatto con l’utenza di più difficile gestione – non dispiace affatto agli amministratori e ai politici locali. Questi, infatti, che sono i massimi responsabili dei disservizi che investono un’utenza costantemente malservita, forse si nascondono volentieri dietro questo diffuso pregiudizio che li fa dimenticare e non consente una più corretta individuazione di responsabilità e responsabili.
Ma, ci chiediamo, è veramente soltanto l’utenza quella responsabile di queste condotte violente? Certo quando si organizzano vere e proprie spedizioni punitive, come quella vista all’ospedale di Foggia e si costringono gli operatori a barricarsi in una stanza per sfuggire ad un annunciato pestaggio, le responsabilità sono evidenti e sono nettamente di tipo delinquenziale da parte di quelle persone. Ma quando, invece, la violenza si manifesta a causa dell’esasperazione per una presunta “strafottenza” o per troppo lunghi tempi di attesa nel ricevere una prestazione, che appare sempre urgente ai diretti interessati e quindi necessita, secondo loro, di tempi più brevi, allora le responsabilità andrebbero opportunamente ricercate altrove.
In chi non è capace di programmare, in chi pur avendo la disponibilità delle risorse finanziarie non le sa usare e non bandisce i concorsi o non acquista i macchinari necessari, in chi non seleziona nei concorsi le reali competenze ma procede decide un primario o un dirigente guidato dall’appartenenza o dai desiderata del ras politico locale. Non si recluteranno mai così i migliori o capaci di implementare la qualità dell’assistenza.
La nostra sanità è sempre stata il fiore all’occhiello del welfare e dovremmo sentire la responsabilità di difenderla, perché è questo il nostro interesse. Da essa dipende la nostra vita e non possiamo consentire a chicchessia di lucrare sulle poche risorse disponibili. La nostra organizzazione sanitaria è ancora oggi, incredibilmente, tra le migliori al mondo. Ma questo è dovuto solo all’abnegazione ed alla passione di tanti operatori che ancora stoicamente resistono. Ma quanto tempo ancora potrà durare questa disperata resilienza? Certo le tante aggressioni e le violenze che si susseguono in questi mesi non aiutano.
I casi di aggressione ai danni del personale, accertati dall’Inail nel 2022, sono stati più di 1.600, in aumento sia rispetto agli anni precedenti pur considerando che l’accesso alle strutture ospedaliere e assistenziali era stato fortemente limitato dall’emergenza pandemica. Gli episodi di aggressione sono un fenomeno in forte crescita. Nel triennio 2019-2021 si sono registrati più di 4.800 casi codificati dall’INAIL come violenza, aggressione o minacce verbali e similari nei confronti del personale sanitario e socio-sanitario, con una media di circa 1.600 casi l’anno, ma sono stati certamente di più, perché spesso molti episodi non sono stati denunciati dalle vittime. La maggior parte avviene in ospedale e ad essere più colpite sono state prevalentemente le donne. Il ministro Schillaci ha indetto una “Giornata nazionale contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e sociosanitari”.
Nel 2023 ci sono state oltre 16.000 segnalazioni di aggressione contro gli operatori e contro le loro proprietà, come le auto danneggiate o rubate.
Questi numeri sono stati esposti nella Relazione al Parlamento tenuta dal Ministro proprio nel corso della Giornata nazionale contro la violenza nei confronti degli operatori. “Questi numeri – ha detto il Ministro – ci aiutano a indirizzare l’attenzione verso le attività di prevenzione e di formazione. L’osservatorio che abbiamo istituito ha fornito specifiche indicazioni per aggiornare le raccomandazioni da seguire per prevenire gli atti di violenza. Nel corso di quest’anno si dovranno tenere attività formative rivolte agli operatori per illustrare i requisiti minimi standard indicati da Agenas”.
La formazione mira a dare ai professionisti sanitari gli strumenti per prevenire la violenza, laddove possibile, e per imparare a gestire il fenomeno. Così come sarà importante informare e sensibilizzare i cittadini e soprattutto ripristinare una forte alleanza tra operatori e cittadini. La stessa alleanza che ha consentito l’approvazione della più importante riforma del 1978. La nostra riforma sanitaria.
È evidente quanto quest’aspetto sia anche culturale e quanto sia possibile e vitale.
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