Doppia mossa tutta pro Kamala Harris, nel giro di poche ore, e quasi in contemporanea con lo ‘storico’ faccia a faccia tivvù con l’acerrimo rivale Donald Trump.
In tempo reale, a pochi minuti dal termine del ‘match’, l’endorsement della popstar più acclamata dell’universo, la “gattara senza figli” Taylor Swift, fresca vincitrice di ben 7 Golden Globe, un primato unico nella storia ‘artistica’ (sic) a stelle e strisce.
Quanti voti potrà portare al carro di Kamala la più seguita influencer del pianeta? I sondaggisti tentennano, perché i misteri sulla potenza della ‘rete’ sono ancora infiniti, soprattutto in un campo minato come quello elettorale.
Certo ne porterà a palate, di voti davvero ‘pesanti’, un altro endorsement da novanta espresso alcune ore prima del confronto via ABC.
Quello del sempre potentissimo Dick Cheney, una vita una storia, tutta maxi guerre & mega business, storico vice presidente Usa prima con Bush senior e poi con Bush junior, da guinness dei primati.
In contemporanea è arrivato anche quello della figlia Liz, anche lei un ‘pezzo’ da non poco per anni nella nomenklatura del partito repubblicano, eletta alla Camera dei rappresentati per lo stato del Wyoming nel quinquennio 2017-2023. In rotta ormai da un paio d’anni col suo partito, Liz Cheney ai primi di settembre ha dato il suo pieno appoggio a Kamala nel corso di un evento alla ‘Duke University’ del North Carolina.
Ma partiamo dalle parole – pesanti come macigni – pronunciate pochi giorni fa dal padre Dick.
Eccole: “Donald Trump è la minaccia più grande per la nostra repubblica, ha tentato di rubare le ultime elezioni. Non potrà mai più essere detentore del potere. Bisogna difendere la nostra Costituzione”.
Come mai se ne accorge solo ora, dopo una vita pro repubblicani e anche pro Trump per anni? Quali misteriosi vie gli fanno adesso scoprire un’anima quasi bolscevica?
Una ‘diagnosi’ perfetta ci arriva da uno degli economisti più lucidi negli Usa, Jeffrey Sachs, che così spiega l’arcano: poi non poco tanto, come dice subito: “La scelta non è poi così sorprendente. La questione principale è l’influenza nella politica estera dello Stato di Sicurezza, del dipartimento Difesa e della NATO, da sempre incentrato sul voler promuovere l’ideale di un’egemonia statunitense imposta con le guerre, ma anche di tutto il settore industriale delle armi”.
Si tratta, in sostanza, di quel ‘Deep State’ più e più volte, per anni, descritto dalla ‘Voce’. Quel ‘Deep State’ che, all’epoca delle presidenze Bush, veniva incarnato e controllato proprio da Cheney. Il quale ha svolto – rammenta Sachs – “un ruolo chiave nelle decisioni di tutte le azioni offensive degli Stati Uniti e nella presenza di tante basi militari Usa in territori esteri strategici”.
Eccoci al vero nodo della questione, messo nero su bianco, con gran chiarezza e coraggio da Sachs: “I partiti non hanno fatto e ormai non fanno più la differenza. Bush, Clinton, Obama e Biden hanno tutti avuto il neoconservatorismo in prima linea nello Stato di Sicurezza”. Un neoconservatorismo nel DNA, nei cromosomi di entrambi i partiti, tra i repubblicani e ora soprattutto tra i democratici (sic), tali ormai solo di nome ma non di fatto e nei fatti, almeno da un ventennio.
Secondo Sachs, “Cheney ha contribuito in modo non poco influente nell’inizio del conflitto in Ucraina e ora intende portare avanti tale politica, spingendo i democratici verso l’obiettivo dell’allargamento della NATO a Kiev e verso la realizzazione di nuove basi militari Usa molto più vicine ai confini con la Russia”.
Per filo e per segno la politica che da un decennio e passa porta avanti il Dipartimento di Stato Usa, guidato dal falco Antony Blinken e dalla ‘zarina’ Victoria Nuland, la vera regista del golpe bianco di piazza Maidan, Kiev, del 2014.
Vediamo più da vicino, in rapida carrellata, le tappe della lunghissima carriera del falco dei falchi, al secolo Dick Cheney.
Comincia subito con una poltrona da non poco, nel 1975, quando il presidente Gerald Ford lo sceglie come Capo di Gabinetto della Casa Bianca. Nel 1989 Bush senior gli conferisce l’incarico, per cinque anni, di Segretario della Difesa: e da quella strategica postazione gestisce due gigantesche operazioni militari, ‘Just Cause’ a Panama, e soprattutto ‘Desert Storm’ in Iraq.
Con la presidenza di Bill Clinton, un improvviso declino politico, anche tra le fila del suo stesso partito repubblicano, perché le sue posizioni vengono giudicate troppo guerrafondaie e conservatrici. Tutto detto.
Non sta certo con le mani in mano e si tuffa nei maxi business: magicamente, infatti, diventa presidente e amministratore delegato del colosso di petrolio & infrastrutture ‘Halliburton’, per la serie delle ‘dorate porte girevoli’tanto in voga negli Usa. E proprio alla ‘sua cara’ Halliburton, qualche anno dopo con la seconda guerra d’invasione in Iraq, guarda caso, arriveranno gli appalti più pingui!
Le porte girevoli continuano a funzionare e così, dopo la fortunata esperienza ‘aziendale’, torna all’amata politica concedendosi un clamoroso bis: ossia sarà vice presidente per due mandati di fila, stavolta al seguito di Bush junior, altro record da guinness dei primati.
E’ l’uomo dell’11 settembre, perché gestisce in prima persona, delegato dal capo della Casa Bianca, tutte le operazioni del ‘dopo’: ossia il depistaggio scientifico sull’attentato alle Torri Gemelle e, in contemporanea, orchestra la creazione della falsa pista sul possesso, da parte dell’Iraq, di armi di distruzioni di massa: che dà subito disco verde per la seconda guerra del Golfo, l’invasione dell’Iraq e lo sterminio di una buona parte della sua popolazione. Ottimo e abbondante!
Da rammentare che l’onnipresente Dick è stato l’indiscusso capo dell’ala Neocon del partito repubblicano e nel 1997 ha dato vita al ‘Project for a New American Century’, il cui ruolo fu poi determinante proprio nella decisione di dichiarare guerra all’Iraq.
Può bastare un simile, corposo pedigree, per trasformarlo, in un attimo, nel più fervente democratico, caso mai pacifista e a difesa dei diritti per gli immigrati? Tutto è possibile, ormai, in quest’America…
Per illustrarvi meglio l’intricata situazione Usa, vi proponiamo alcuni approfondimenti.
Il primo è messo in rete l’11 settembre da ‘Piccole Note’, Kamala Harris, la candidata delle guerre infinite
Il secondo, pubblicato da ‘Politico’ il 9 settembre, si intitola Why the ‘one-two punch’ of Liz and Dick Cheney backing Harris matters
Infine, un intervento di Ottavio Grassi, I nuovi amici di Kamala Harris
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