Ancora una volta la Meloni, e tutta la sua affiatatissima squadra, sono partiti all’attacco a testa bassa. Lo hanno fatto senza pensare alla gravità di ciò che andavano affermando. Hanno protestato in modo certamente inappropriatamente a seguito dell’incontro di boxe tra l’italiana Carini e l’algerina Khelif. Combattimento da loro giudicato “squilibrato”. A causa di ciò e per difendere l’onore italiano hanno persino rilasciato dichiarazioni ufficiali oltre ad una nota di protesta rivolta al presidente del CIO, Thomas Bach. L’esito è stato solo una figuraccia internazionale. L’incontro è stato giudicato perfettamente regolare e in nessun caso doveva diventare una questione di valenza nazionale da trattare utilizzando in quel modo i canali governativi ufficiali. Nessun politico al mondo, prima di lei, aveva mai prodotto una nota ufficiale di protesta per una sconfitta olimpica. È noto a tutti che esistono appositi organi della giustizia sportiva a cui le federazioni nazionali possono appellarsi, senza rischiare di coprire di ridicolo il proprio paese o, peggio, senza far apparire i nostri atleti come i soliti piagnoni perdenti, incapaci di competere. La nostra presidente ancora una volta ci ha rappresentati veramente male.
Ma riassumiamo velocemente la questione. Stiamo parlando dell’ormai celebre incontro di boxe femminile Carini/Khelif. Un incontro durato meno di un minuto e culminato con la fuga precipitosa della nostra atleta, che è scesa dal ring urlando al proprio sconcertato allenatore “mi ha fatto molto male … non è giusto, non è giusto”.
Non sappiamo se il suo comportamento è stato indotto più dalle intrusioni giornalistiche che da giorni definivano, con un volgare intento discriminatorio, l’atleta algerina “maschio”, “transgender”, “in transizione”, “gay” e via con tutto il repertorio omofobo della peggiore cultura della destra di regime o perché condizionata dalla consueta intrusione di alcuni politici che pretendevano di affermare così alcuni principi della loro politica. Una loro personalissima verità, persino quando si trattano questioni scientifiche, di genetica, di medicina o di sessuologia facendo come al solito leva su paure e radicati pregiudizi. Tutti comportamenti buoni da usare per la propaganda politica, con aspettativa di facile consenso, parlando come spesso fanno alla “pancia” della gente.
Ma stavolta l’apparato della propaganda della Meloni ha bucato di brutto. La reazione unanime della stampa internazionale è stata di grande stupore di fronte ad un intervento giudicato inopportuno della nostra presidente del consiglio parlando di una vicenda tutta sportiva, che in nessun caso poteva essere trattata come politica e che non poteva richiedere un intervento ufficiale da parte delle più alte cariche governative. Soprattutto perché si sono affermate enormi falsità. Tale era infatti in tentare di far passare l’atleta algerina come transgender o, peggio, un maschietto imbroglione che voleva vincere facile combattendo contro una donna. Ma la Khalif è nata femmina ed era stata autorizzata ufficialmente a competere con le altre atlete. Bastava solo informarsi prima per sapere che si trattava di una donna, tale fin dalla nascita e che i suoi valori di testosterone, pur essendo alti, erano già stati valutati e risultavano nel range previsto dalle regole per le competizioni olimpiche, collocandola tra le atlete e quindi autorizzandola a competere.
Poi nulla contro Angela Carini. Se non riaffermare convintamente il suo sacrosanto diritto a ritirarsi da un incontro valutato troppo squilibrato. Ha fatto bene a pensare salvaguardare innanzitutto la sua integrità fisica. Ma fare del vittimismo no, questo proprio no. Non si è trattato né di un imbroglio arbitrale, né di una congiura contro i nostri atleti ordita dai francesi, né di una palese deroga a regolamenti ufficiali. Tutti ampiamente noti sia agli atleti che alle federazioni nazionali.
Apprezzabile il gesto da parte della nostra atleta di rifiutare il premio in danaro che la federazione internazionale sportiva aveva proposto di assegnarle quale risarcimento “politico” … come se avesse vinto un titolo olimpico. Sarebbe stata, questa sì un errore madornale, una ammissione di errore commesso. Un gesto simile avrebbe configurato una precisa responsabilità che l’intero mondo dello sport non poteva assumersi senza disconfermare lo spirito olimpico e l’intero sistema.
La questione ha finito, come spesso accade, per dividere pubblico e giornalisti in due fazioni, entrambe alimentate da personalissime certezze.
Da un lato coloro che si erano schierati contro la partecipazione alla competizione dell’atleta algerina, accusando per questo il Comitato Olimpico di essersi fatto condizionare da un’imperante “ideologia gender” proprio come era accaduto nella manifestazione di apertura dei giochi; dall’altro coloro che avevano difeso a spada tratta il diritto di Imane Khelif, in quanto donna, a partecipare alle olimpiadi, tacciando di maschilismo impenitente chiunque ponesse il minimo dubbio. Al solito, per chi non volesse essere vittima di alcuna verità preconfezionata la risposta va ricercata solo nei regolamenti vigenti.
Il tutto anche se l’International Boxing Association (IBA) – l’ente privato che organizza i mondiali di pugilato – l’aveva a suo tempo esclusa dalla competizione mondiale per “non avere superato i test di idoneità di genere”. La Khelif non è stata l’unica atleta ad essere esclusa per questa precisa ragione, altre donne pugili che oggi competono alle Olimpiadi di Parigi, furono a suo tempo escluse sulla base di test del DNA. Ma è noto che in occasione delle olimpiadi si utilizzano procedure e controlli diversi, rispettosi di tutte le informazioni coperte da privacy.
Sono le regole e bisogna rispettarle … o attivarsi per cambiarle ma nelle sedi opportune, senza intrusioni di governi o di politici di parte.
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