QUANDO I GRANDI DELLA TERRA INVENTARONO ISRAELE

Continuano in Israele attacchi e bombardamenti facendo tanti morti nella striscia di Gaza, si continua a bombardare insediamenti di civili, scuole e ospedali. Ora più che mai si configurano i presupposti di un crimine contro l’umanità. Gli israeliani continuano ad accusare tutti i palestinesi di terrorismo, e ciò basandosi su quanto accaduto il 7 ottobre. È chiaro che quella strage sia stata di una crudeltà disumana. Ma perché ancora oggi nessuno riesce ad intavolare una trattativa per fermare la guerra? Sembra quasi che qualcuno non lo voglia fare.

Le parti in guerra stanno conducendo uno scontro sbilanciato, armi modernissime contro droni iraniani che i palestinesi non possono controllare e pietre e lacrime. Le due parti fanno riferimento ad antiche motivazioni per sostenere le loro rivendicazioni territoriali, lembi di terra che pretendono gli vengano finalmente riconosciuti. Nel frattempo, le atrocità continuano e alimentano un odio che durerà per generazioni, trasformando i ragazzi terrorizzati di oggi nei veri terroristi di domani.

Forse è doverose tentare di ricostruire la lunga storia di questo conflitto, anche per tentare di comprenderne la genesi. Chi ha avuto la ventura di visitare Israele ha certamente potuto constatare inattese somiglianze tra quei due popoli. Nel cibo che mangiano, nei pregiudizi che li caratterizzano, nei costumi e persino nei rispettivi riti religiosi che praticano. Le due religioni sono solo apparentemente così diverse come si racconta. Non è vero che non hanno punti di contatto e in perenne conflitto tra loro. Non è così. La realtà ci dice che lo scontro israelo-palestinese si è nutrito della convinzione che quel territorio appartiene ad entrambi. Gli israeliani fanno discendere la convinzione del loro diritto sulla Palestina dal fatto che è la loro patria biblica, quella la terra promessaconcessa a loro direttamente da Dio che li ha definiti come il “popolo eletto”. I palestinesi più banalmente hanno abitato quei territori da molto tempo prima dell’arrivo degli israeliani e ne sono stati scacciati con la forza.

Ma il conflitto, in realtà, era iniziato fin nella prima metà del Novecento e si era poi inasprito dopo il 1947 quando è stato fondato lo Stato di Israele, a seguito di una risoluzione dell’ONU. Si tentò allora il primo e unico tentativo di ottenere una vera pace, un tentativo che fallì miseramente. Poi ci furono, in sequenza, molte guerre sempre causate da invasioni israeliane che avvenivano dopo un’intifada palestinese, caratterizzate da assalti, da continui attentati e da ripetute aggressioni individuali, che avvenivano in genere alle porte di Gerusalemme.

Tutto era cominciato nei primi decenni del secolo scorso, quando la situazione si fece tesa perché molti ebrei, quelli più ricchi e occidentalizzati, arrivarono in Palestina da tutto il mondo e comprarono le terre dei contadini poveri per fondare i loro primi kibbutz. Già in quelle occasioni usarono le armi per spaventare e allontanare quei palestinesi che cercavano di opporsi.

La verità è che dopo il terribile massacro di sei milioni di ebrei europei, perpetrato dai nazisti e dai loro alleati, i sopravvissuti acquisirono agli occhi del mondo civile un credito enorme. E che intendevano riscuoterlo. Ottennero così, con l’appoggio dei paesi vincitori della II guerra mondiale, l’assegnazione dall’ONU dell’unico posto al mondo nel quale potevano fondare un proprio Stato ebraico e vivere secondo le scritture. Questa terra era la Palestina, ma gli arabi che la abitavano, rifiutarono il piano proposto e iniziarono un conflitto che è oggi ancora aperto sempre più aspro e sanguinoso. Dopo gli scontri iniziati tra milizie arabe e israeliane nel 1948 il Regno Unito decise di ritirarsi non essendo in grado di controllare un territorio così difficile e lontano. E fu allora che David Ben Gurion, leader della comunità ebraica, decise di proclamare la nascita dello Stato di Israele. Da quel momento il conflitto con gli arabi si trasformò in una vera e propria guerra perché i paesi arabi confinanti con Israele (Egitto, Siria, Giordania e Iraq) inviarono contingenti militari contro lo Stato ebraico.

Le forze israeliane, meglio armate e addestrate dall’esercito americano, respinsero il primo attacco e conquistarono un ampio territorio, ma non riuscirono ad occupare Gerusalemme, città ambita da entrambi i popoli. Per la popolazione palestinese l’esito di quella guerra fu disastroso. Oltre 700 mila arabi furono espulsi dalle loro case e rinchiusi in campi profughi allestiti in fretta e furia dai paesi confinanti, all’interno dei quali vivono ancora oggi i loro discendenti. Mentre una piccola minoranza, definita arabo-israeliana, restò a vivere in Israele per poter lavorare, diventandone cittadini, discriminati e con meno diritti.

Poi si susseguirono molte altre guerre tra Israele e gli Stati arabi. La più nota è stata la cosiddetta “guerra dei sei giorni” che ebbe iniziò e si concluse nel 1967. L’esercito israeliano in quella occasione sconfisse duramente Egitto, Siria e Giordania occupando militarmente anche una parte dei loro territori. Furono accorpati ad Israele Gerusalemme Est e la Cisgiordania che prima appartenevano alla Giordania, la Striscia di Gaza e la Penisola del Sinai che appartenevano all’Egitto e la penisola del Golan che apparteneva alla Siria.

Immediatamente quei territori furono occupati dai coloni israeliani, che erano gli ebrei più violenti e fanatizzati, che costruirono i loro insediamenti.

Dopo la guerra dei sei giorni il conflitto assunse una nuova forma. La popolazione palestinese perse fiducia nella possibilità di ricevere un aiuto efficace da parte di altri Stati arabi e decise di condurre in prima persona la lotta contro Israele sotto la guida della neocostituita OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e del suo leader Yasser Arafat. La situazione andò avanti così fino agli anni ‘80 quando cambiò ancora una volta lo scenario internazionale. L’Egitto firmò un accordo separato di pace con Israele e riottenne il Sinai rinunciando alla Striscia di Gaza che rimase agli israeliani, poi il governo giordano rinunciò a rivendicare la Cisgiordania credendo alla promessa che quella sarebbe diventata poi territorio dello Stato di Palestina. Da quel momento la Cisgiordania e la striscia di Gaza divennero territori abitati da palestinesi e iniziò un breve e promettente processo di pace che si prolungò fino al 1993 quando Arafat e il premier israeliano Yitzhak Rabin sottoscrissero un accordo con il quale si riconobbero reciprocamente. Ma quell’accordo naufragò quando irruppero sulla scena politica gli estremisti di entrambe le parti, si commisero allora attentati e feroci omicidi. Fu ucciso persino Rabin e morì Arafat. Ma i due popoli non riuscirono ad affrontare le questioni più spinose, né fondare uno stato di Palestina né risolvere lo status di Gerusalemme. Il processo di pace inevitabilmente fallì e lo Stato palestinese non fu mai costituito e non sarà possibile nemmeno parlarne negli anni che seguirono. In pochi tra i leader mondiali capirono che si era persa per sempre una straordinaria occasione.

Il conflitto israelo-palestinese non fu mai una guerra di religione come qualcuno ha voluto dire. Fu uno scontro tra due popoli in lotta per il possesso della stessa terra. Il fatto di appartenere a due fedi religiose diverse contribuì solo ad inasprire il confronto e gli diede un senso, ma non ne fu la causa. Quel conflitto non si era combattuto solo in Israele e nei territori palestinesi, ma si era sviluppato soprattutto nelle principali capitali del mondo. Ciò perché entrambe le parti avevano grande bisogno di guadagnare per sé il sostegno internazionale. Sostegno che arrivò agli ebrei da parte degli americani che registrano una forte presenza di interessi finanziari nella sua economia. Ma arrivò anche ai palestinesi da parte della Russia e della Cina, che avevano esigenza di occupare spazi di influenza in quella parte del mondo.

Quei sostegni condizionano ancora oggi quella guerra e, forse, impediranno che si arrivi ad una giusta pace.

 


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