Basta davvero poco per giudicare lo sciacallaggio dell’oligarga Putin, che trasforma la strage di Mosca in un cinico je accuse a Kiev, solo perché i terroristi in fuga, ‘sembravano’ diretti in Ucraina: e dove altro cercare, scampo, per esclusione di ogni altro luogo sotto il dominio della Russia? Con quale misterioso obiettivo l’Isis avrebbe rivendicato l’attentato e lo avrebbe attribuito ai suoi affiliati? Putin ignora che per quanto è accaduto a Mosca tutto il mondo si compatta per combattere il terrorismo dell’Isis: quale intenzione insensata di Zelenski nasconderebbe la sua responsabilità, che accertata costerebbe all’Ucraina catastrofiche ritorsioni? La barbarie del Crocus City Hall è una insanabile ferita che evidenzia la vulnerabilità di ogni luogo protetto della Terra. Lo conferma l’inutile avvertimento alla Russia della security Usa sulla probabilità di un attentato a Mosca. La pietà per le 143 vittime, i 122 feriti, giustifica la definizione del massacro con numerosi sinonimi, ognuno rappresentativo dell’indignazione mondiale per la ‘barbarie’ compiuta: atrocità, bestialità, brutalità, crudeltà, disumanità, efferatezza, ferocia, inumanità, malvagità, mostruosità, nefandezza. Il tentativo di fuga dei quattro tagiki in direzione dell’Ucraina, unica possibilità di uscire dalla Russia diventa immediatamente pretesto per giustificare propositi di vendetta e non per punire l’Isis, ma Zelenski. La Duma, Assemblea rappresentativa dotata di poteri legislativi, in funzione nell’ultimo periodo della Russia zarista, minaccia di reintrodurre la pena di morte per gli attentatori. Sarebbe un arretramento anacronistico nella stagione del mondo che opera perché sia abolita nei Paesi dove è in vigore. Riflessione paradossale: per i quattro tagiki autori della strage, che confessano di averla provocata in cambio di una manciata di rubli, la pena di morte sarebbe certamente un atto di barbarie, ma non peggiore delle torture che subiscono per estorcere l’identità dei mandanti, nonostante la rivendicazione dell’Isis, della sua agenzia di Stampa che ha pubblicato le fotografie dei quattro tagiki prima ancora della tragica sparatoria. Dunque nessun dubbio sui mandanti. Fa notizia e non può che essere di fonte Cremlino (per soddisfare la domanda di vendetta dei russi), la mostruosità subita da uno degli arrestati. Gli hanno tagliato un orecchio e glielo hanno fatto mangiare. Si può immaginare che non è stata l’unica brutalità subìta dai terroristi, l’unica feroce violenza. Putin, ha parlato dopo il tempo infinito di 20 ore dall’attentato, quando ha concluso l’operazione di indottrinamento del sistema mediatico al suo servizio. Dice e non dice, ignora la rivendicazione dell’Isis certificata con nuovi video, ma insinua il sospetto della complicità dell’Ucraina, per legittimare il probabile inasprimento dei prossimi raid minacciati da Medvedev (e pena di morte per gli attentatori, conseguenze per le loro famiglie, vendetta contro Kiev). Mobilita la complessa macchina della propaganda, i media statalizzati, che all’unisono inventano la responsabilità di Kkiev nel preparare e portare a termine la strage, nel predisporre una ‘finestra d’ingresso’ in Ucraina per i terroristi. Non va oltre per non suscitare ostilità della consistente comunità musulmana in Russia: gli immigrati tagiki, che sarebbero assoldati da Zelenski o da chi per lui, sono utilizzati come capro espiatorio perfetto per il Cremlino. Putin allontana da sé anche la responsabilità di aver definito “provocazione” l’allarme dell’America per il pericolo di attentati in Russia. Si apre così un’altra pagina della barbarie che disumanizza il pianeta Terra.
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