Che non sia una giornata in cui fare festa ormai è noto e lo sostengono in tanti, persino molte aderenti a movimenti femministi. La data ricorda la strage operaie morte a seguito di un incendio in una fabbrica americana l’8 marzo del 1908, la fabbrica era la Cottons di New York. Ma quella data fu scelta anche per questo motivo dall’ONU per celebrare la “Giornata internazionale della donna”, istituita per ricordare al mondo le conquiste dell’universo femminile e per riflettere sulle disuguaglianze di genere ancora esistenti. Si ricorda quel giorno sia l’importanza della difesa dei diritti delle donne, che le conquiste sociali, politiche ed economiche. Si vuole così rinvigorire l’attenzione su stereotipi e discriminazioni, su violenza e riforme legislative da perseguire. Ma si vuole anche sottolinea la necessità di adeguare le conoscenze della ricerca scientifica e farmacologica, perché sempre ottenute da ricerche che non hanno coinvolto le donne. Sarebbe necessario cominciare a declinare ancor più le ricerche anche per genere e ritarare gli esiti verificando dosaggi e procedure, sinora commisurate al solo corpo maschile. È questo il motivo per cui, spesso, le cure farmacologiche risultano non efficaci quando applicate alle donne, a volte persino iatrogene. Questo a causa delle grandi differenze fisiche e ormonali tra generi e al fatto che tutti i farmaci richiedono un dosaggio commisurato al paziente a cui vengono somministrati. Cosa che sarebbe stata evidenziata già in fase di sperimentazione se le platee utilizzate fossero state organizzate e divise per genere.
Ora, passata la ricorrenza della festa, possiamo parlare di questi altri aspetti poco considerati della questione femminile e dei loro diritti, senza le tante banalità che imperversano in occasione della “Festa delle Donne”.
Durante i festeggiamenti per l’otto marzo, infatti, vengono devastate centinaia mimose, e non solo gli alberi che si affacciano sulla pubblica strada da giardini, ville o terreni.
Il problema è che, in questa festa, molti sentono solo il bisogno di scambiarsi “auguri sintetici”, di quelli che imperversano nella rete, tutti uguali, anonimi e regolarmente rilanciati ad amici e conoscenti allegati a post o a messaggini. Il successo di tutto ciò deriva dal fatto che ognuno può illudersi che quelle belle frasi sono rivolte proprio a chi le legge.
Ma la cosa più insopportabile è quella irrefrenabile pulsione che riguarda mariti, fidanzati e figli, spinti da inconsapevole ipocrisia, di fare gli auguri a ogni donna che quel giorno incontrano, in ufficio, in ospedale e persino in strada.
Poi tornano a casa con una scatola di cioccolatini o una rosa. Questo anche quando, chi formula questi auguri, non ha mai manifestato una reale consapevolezza della portata del problema e si limita a una manifestazione di solidarietà … che dura un solo giorno. La consapevolezza del problema dei diritti è tutt’altra cosa e si manifesta con atti concreti, istituzionali, che non trascurano i baratri che sopravvivono tra generi in termini di diritti, di retribuzioni, di sacrifici fatti e da fare, di posizioni di vertice negate.
Le donne – lo dicono i dati – sono in netta maggioranza tra i nuovi laureati ed esprimono più competenze e capacità. Ma raramente ricevono adeguati riconoscimenti.
Si tratta solo di un pregiudizio culturale? Certamente lo è quello che porta a pensare che le donne non sono strutturalmente adatte a gestire lavori scientifici, programmi informatici, ruoli di management o lavori che richiedono una mente razionale (considerata prerogativa del cervello dei maschi). Lo sono eccome, è solo un pregiudizio quello che assegna a un solo al genere quel tipo di attitudine e le relative capacità manageriali e che relega le donne ad attività di tipo emotivo. È per questo che qualcuno pensa che sono più adatte a svolgere lavori di tipo assistenziale o che comportano attitudine al maternage. Come quelli di accudire fragili, bambini, anziani e disabili o al massimo all’insegnamento e a svolgere ruoli secondari in ambito di assistenza sanitaria.
Ma veramente qualcuno ancora crede che le donne scelgano proprio quel tipo di lavoro o che vogliano dedicarsi alla cura di figli e famiglia? Non è così, e chi lo dice lo sa bene. Penso piuttosto si tratti di voler salvaguardare alcune convenienze sociali, Ci guadagnano infatti solo gli equilibri familiari e dei sistemi economici, ma perde complessivamente il paese, che non utilizza così tutte le sue potenziali opportunità perdendo intelligenze, creatività e tanta forza lavoro. Ma allora chi ha interesse a sostenere questi pregiudizi? Siamo di fronte a un ennesimo retaggio di una cultura patriarcale? Forse. Ma dobbiamo sapere che è un problema che riguarda allo stesso tempo entrambi i sessi. Quello maschile, sempre più in crisi di identità è confuso e gode di una scarsa autostima, smantellata dal ridimensionamento del proprio ruolo sociale. Quello femminile, eternamente alle prese con ostacoli culturali, pregiudizi e tante resistenze sociali.
Sono questi stessi pregiudizi, assieme ad una crescente frustrazione maschile, una causa di tanti “femminicidi”. Questi non si compiono più nella indifferenza del contesto di riferimento, ma la stampa ormai li segnala puntualmente e li rilancia, a volte persino ipertrofizzandone portata e numerosità. La verità è che oggi questi delitti occupano intere pagine di giornali per giorni e giorni e si è sviluppata una maggiore consapevolezza della loro gravità. Sono crimini non più tollerati, come poteva accadere un tempo quando si parlava con toni assolutori di “troppo amore”, di “passionalità”, di “onore violato”.
120 sono le donne uccise dai loro compagni di vita nell’anno 2023 e altre 60 già nei primi 3 mesi di questo 2024. Sono ancora troppi questi omicidi, sono efferati, ma sono comunque meno di quelli registrati negli anni precedenti. La percezione diffusa del loro aumento è solo frutto della loro esposizione mediatica ma, anche per questo, ci appaiono più odiosi e intollerabili che in passato. Forse questo è il segno del cambiamento dei costumi e di una nuova percezione di massa di questi fenomeni.
I giovani per fortuna sono più sensibili a questi cambiamenti epocali e sono la sola speranza di cambiamento della società.
Un giorno forse, grazie a loro, questi delitti spariranno e tutti potranno vivere con gioia la loro vita, la loro sessualità e vedere finalmente riconosciute scelte, competenze e talenti.
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