Navalny era l’unico credibile antagonista di Putin in Russia. Era già sopravvissuto ad un avvelenamento da parte dei servizi segreti putiniani, trasferito a Bonn nel 2020, anche grazie ad un largo battage mediatico per curarsi dai postumi dell’attentato subito. E, nonostante ciò, aveva deciso con grande coraggio di tornare in patria per continuare in Russia la sua battaglia contro la corruzione dell’entourage putiniano. Ma è stato processato, condannato e incarcerato, prima in un carcere vicino a Mosca e poi a Kharp, nel circolo polare artico. In una regione in cui le temperature scendono spesso sotto i 30 gradi rendendo impossibili le visite da parte di familiari e persino dei suoi avvocati. È un carcere di massima sicurezza concepito per rinchiudere dissidenti e nel quale, naturalmente, si sopravvive in condizioni disumane.
Navalny è morto a soli 47 anni e ancora non si sa ufficialmente come. Forse ancora a seguito dei postumi dell’avvelenamento, forse ucciso da una nuova aggressione degli stessi servizi. Qualcuno pensa che sia trattato di una vera e propria esecuzione … utilizzando il vecchio metodo del “colpo al cuore” concepito in epoca staliniana. Metodo che consisteva in un violento pugno all’altezza del cuore sferrato dopo aver esposto la vittima al gelo per ore. Si provocava così un fulmineo arresto cardiaco. I lividi trovati sul suo corpo sarebbero perfettamente compatibili con l’utilizzo di questa tecnica.
Sulle cause reali della sua morte tacciono ancora oggi sia i dirigenti del carcere di Kharp, sia il Cremlino, entrambi affermano di non avere informazioni certe.
Kira Jarmysh, la storica portavoce di Navalny, aveva tenuto una conferenza stampa solo poche settimane prima, ricordando che Aleksej era stato per ben ventisette volte in isolamento o rinchiuso in cella di punizione.
Navalny era stato incarcerato una prima volta nel 2021 poco dopo il suo rientro in patria, condannato per frode con sospensione della pena poi mutata in reclusione. Si erano allora aperti i cancelli di una prima colonia penale a circa cento chilometri dalla capitale. Ma nell’agosto del 2023 aveva subito una seconda condanna a 19 anni, che si sommava alla prima, da scontare in un carcere a regime speciale. L’ultima condanna di Navalny, leader della lotta alla corruzione, era stata paradossalmente motivata da un presunto episodio corruttivo e motivata per “finanziamento illecito e coinvolgimento in attività terroristiche svolte in organizzazioni estremiste”.
Fonti dell’emittente governativa Rt riferiscono che a causare la morte sarebbe stato un “coagulo di sangue”. Da notare il mercoledì prima della morte, all’incontro con il suo avvocato, non lamentava alcun malore.
A febbraio di quest’anno Navalny era stato rinchiuso per l’ennesima volta in una cella di punizione. Con questo ventitreesimo provvedimento consecutivo era arrivato ad accumulare 308 giorni di isolamento prima di essere trasferito nella colonia di Kharp.
La prigione del circolo polare artico è una delle più crudeli, conosciuta nel gergo carcerario, con il nome di “Lupo Polare”. Per arrivarci dalla capitale era necessario un viaggio di trasferimento di oltre 20 giorni.
Nei lunghi mesi invernali dalle finestre della prigione filtra solo il bagliore grigio delle poche ore di luce e il cortile per l’ora d’aria è, più o meno, delle dimensioni di una cella.
Questa terribile colonia penale, costruita in epoca staliniana come gulag, è pensata per imprigionare traditori e dissidenti. È irraggiungibile ed è impossibile evadere. È completamente isolata e non è integrata al sistema di posta elettronica. Nel primo messaggio che Navalny ha potuto inviare ai suoi sostenitori, dopo molte settimane, aveva scritto conservando ancora la sua vena ironica “… ora sto bene, sono diventato proprio come Babbo Natale”.
Blogger e avvocato di ispirazione nazionalista, la colpa di Navalny era quella di essere il principale oppositore di Vladimir Putin. La sua attività politica era portata avanti con numerose inchieste sulla corruzione. Aveva tentato di candidarsi alle presidenziali del 2017 contro Putin, ma la sua candidatura era stata respinta dal tribunale di Mosca.
Poi è iniziata la persecuzione, fino all’avvelenamento durante un volo da Toms a Mosca e il successivo trasferimento in Germania su richiesta di quel governo, proprio per curarlo dai postumi dell’avvelenamento. Poi il rientro volontario in patria a cui hanno immediatamente fatto seguito le due condanne per un totale di circa vent’anni di carcere. Infine, l’inevitabile oscura morte.
Ma perché tanto accanimento da parte di Putin? Forse perché Navalny intendeva svelare il grande segreto dello zar. L’esistenza di una vera e propria reggia da 17mila metri quadrati sulle rive del mar Nero su un terreno da 7mila ettari. Considerata la residenza più costosa al mondo, segreta per non svelare come e da chi era stata finanziata.
Il sito palace.navalny.com aveva iniziato ad indagare pubblicando tutte le informazioni disponibili. Il sito aveva contato in pochi giorni milioni di visualizzazioni, ma la cosa più grave e pericolosa per il regime sono state le migliaia di persone scese in piazza per protestare contro la corruzione.
Ora Yulia Navalnaya, moglie del dissidente russo, ha deciso di proseguire l’eredità politica del marito. È subito diventata bersaglio di indegni attacchi diffamatori e di campagne di disinformazione. Riportano alcuni siti governativi di una pretesa disinvoltura con cui, dopo la morte del marito, avrebbe intrapreso relazioni sentimentali con altri uomini. Il tutto con immagini e audio manipolati che accompagnano regolarmente queste informazioni false.
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