MA QUANTE NE COMBINANO…

Neanche un Beato, neppure un Santo, potrebbe dominare la rabbia, molto terrena, di un/una professionista della politica investito/a di responsabilità plurime, coincidenti, brutalmente sovrapposte, che gli/le piovono sulla testa con frequenza di un giorno sì e l’altro pure. Che fare   per non finire nella perigliosa condizione di depresso/ssa, chiuso/a in silenzi da cerotto appiccicato sulle labbra, tolto solo per nutrirsi? Lei/lui, donna/uomo (‘uomo’ nel titolo in pria pagina del quotidiano destrorso ‘Libero’) si riconosce  da più di un anno in questa amletica alternativa: urla ai fascisti spagnoli di  Vox “Yo soy Giorgia, donna, madre, cristiana” (ma non ha convissuto extra matrimonio con il Giambruno ripudiato tardivamente?), aggredisce verbalmente il ‘nemico’ in Parlamento e in Tv, ma tace, con  determinazione oltre il mutismo delle tre famose scimmiette (‘non vedo, non sento, non parlo’) e si smarca così dal gravoso compito di legittimare guai, pasticci, gaffe e reati di quanti ha gratificato per fedeltà con incarichi istituzionali o comunque di potere, che ne combinano, appunto, di tutti i colori, anche se a prevalere è  il nero. Si può risparmiare di notificare, perché noto, il lungo elenco di toppe che la Giorgia/Giorgio ha dovuto impiegare per coprire le disavventure politiche e di comportamento di mezzo governo. Lo spazio così risparmiato consente di accogliere ‘fatti del giorno’ dei ‘fratelli d’Italia, che turbano il sonno del/della premier Meloni. Sgarbi, non disprezzabile critico d’arte, ne avrebbe combinate altre delle sue ed è indagato. In stringata sintesi: su di lui istruttoria dell’antitrust per le parcelle di conferenziere, frutto di prestazioni incompatibili con il ruolo istituzionale di vice ministro della Cultura (censurato perfino da Sangiuliano!) e ora indagine per furto di beni culturali. Nel 2013 scompare da un castello piemontese un quadro del ’600 del pittore Manetti. Ricompare otto anni dopo in una mostra, come proprietà privata di Sgarbi, ma con la piccola modifica di una candela, aggiunta in alto a sinistra per dimostrare che non si tratta dello stesso quadro. Smentiscono i carabinieri, “è lo stesso”. La Procura apre un’inchiesta i 5Stelle chiedono la revoca del ruolo di sottosegretario, il Pd si associa, Sangiuliano glissa, la Meloni tace. E figurarsi se la premier può dire qualcosa di uno dei cento casi di neofascismo accertato o dei guai finanziari dell’amica Santanché. La ministra del turismo, accusata di conflitto d’interessi, indagata per falso in bilancio e bancarotta (gestione del gruppo Visibilia), ma sempre in sella, per grazia ricevuta dalla premier, riceve un’altra tegola in testa per il fallimento del gruppo biologico Ki Group che ha guidato a suo tempo. Può essere coinvolta in quanto ex amministratrice. In piccolo, si fa per dire, finisce sul tavolo della Meloni il caso di Donnarumma, sindaco di Palma Campania (vice coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia), agli arresti domiciliari per aver orientato l’assegnazione di appalti a favore di privati. È accusato di corruzione e turbativa d’asta. In un’intercettazione telefonica, rivolto a un imprenditore: “Nel futuro prossimo c’è un finanziamento di venti milioni, li gestiamo io e te?” Il cerotto sulla bocca di “Yo soy Giorgia” c’è sempre, garante di silenzio tombale.


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