Ora il vero terreno di scontro politico si gioca tutto sul ‘premierato’.
Il coniglio che Giorgia Meloni ha tirato fuori dal suo magico cilindro e che sta per passare già, in prima lettura, all’esame del Senato (un altro mini-golpe, come vedremo).
Una vera sorpresa, quella del premierato, visto che sia nel programma elettorale della coalizione di centro-destra che in quello di Fratelli d’Italia non se ne faceva minimo cenno, come invece ha sottolineato la premier, che per l’ennesima volta si dimostra una ‘menzognera seriale’.
Nel programma ‘Per l’Italia’ sottoscritto infatti l’11 agosto 2022, in vista del voto, da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati, non si parlava di elezione diretta del premier, ma del presidente della Repubblica, cosa ben differente, come chiaramente precisato al punto 3 (titolato ‘Riforme istituzionali, della giustizia e della Pubblica amministrazione’) dello stesso programma.
Perfino nel programma elettorale di FdI, al punto 24, viene scritto di “una riforma presidenziale dello Stato”; come del resto faceva, nel suo, il Carroccio di Matteo Salvini, che auspicava l’elezione diretta del Capo dello Stato.
Del resto, in piena campagna elettorale, a febbraio 2022, proprio lady Giorgia aveva lanciato una raccolta firme per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, “una riforma – queste le sue parole – di cui l’Italia ha bisogno”.
Auspicio ribadito a chiare lettere nel suo primo discorso per ottenere la fiducia dal Parlamento, il 26 ottobre 2022, quando disse gonfiando il petto: “Siamo fermamente convinti del fatto che l’Italia abbia bisogno di una riforma costituzionale in senso presidenziale che garantisca stabilità e restituisca centralità alla sovranità popolare”.
Ma passiamo all’oggi, con il coniglio-premierato sugli scudi.
Dove desta subito curiosità la decisione di andare subito al primo vaglio di Palazzo Madama invece che di Montecitorio, come succede ritualmente in questi casi così delicati e di rilevanza costituzionale.
La spiegazione, con tutta probabilità, è perché al Senato la premier gioca praticamente ‘in casa’: con un presidente dell’Assemblea che risponde al nome di Ignazio Benito La Russa; il numero uno della commissione Affari costituzionali, Alberto Balboni, è un fedelissimo, e su tutto sovrintende il ministro dei rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, che è anche ex capogruppo FdI proprio al Senato.
Quindi le truppe meloniane possono contare su un iter più che rapido, senza troppi intralci burocratici: insomma una corsia che più preferenziale non si può.
Notano non pochi analisti: “Portare al Senato la prima delle quattro letture vuol dire anche cercare di arginare con più facilità il probabile ostruzionismo dell’opposizione. Con i nuovi regolamenti di Palazzo Madama, infatti, si può andare più che spediti. In Fratelli d’Italia, poi, si immagina che La Russa possa mostrarsi più intransigente sugli emendamenti del centrosinistra rispetto a quello che farebbe alla Camera il presidente leghista Lorenzo Fontana”.
Comunque il percorso non è facile. Perché a questo punto si aprono due strade.
Una è quella del raggiungimento dei due terzi dei parlamentari affinchè la ‘storica’ riforma (sic) possa passare in modo indolore: il che significa aprire subito la caccia a 35 nomi non della maggioranza.
L’alternativa, infatti, è una sola: il referendum, che di tutta evidenza la premier preferisce evitare per non rischiare una cocente sconfitta.
Comunque è stata chiara: anche se perdo non mi dimetto da premier. Certo più schietta rispetto al Matteo Renzi premier che aveva giurato davanti a tutti gli italiani, “se perdo il referendum sulla Costituzione lascio la politica”.
Avete mai assistito ad una bufala, una ‘bischerata’ come coloriscono i fiorentini, di tale portata?
Torniamo ai numeri, che fanno sempre la sostanza, la ‘polpa’ politica, di questa politica.
La maggioranza ha bisogno di 35 voti favorevoli al premierato, per la precisione 21 deputati e 14 senatori. Impresa certo non agevole, come ammette il leghista di lungo corso Roberto Calderoli, oggi ministro per gli Affari regionali e le autonomie: “I due terzi non si raggiungeranno mai. Il confronto è con opposizioni che, prima ancora di leggere il testo, hanno già annunciato i comitati del NO”.
Proprio per questo lo stretto entourage meloniano sta già lavorando alla creazione di una ‘task force’ con tanto di sondaggisti tra le sue fila, in grado di guidare l’esecutivo anche nella scrittura dei non semplici quesiti referendari.
Attenti alle date. Se non vengono raggiunti i famosi due terzi, si va alle urne referendarie: è il periodo più probabile è la primavera 2025.
Quindi ad un anno dalle europee della prossima primavera 2024: e proprio il tema del premierato sarà a quel punto uno dei cavalli di battaglia per le truppe capeggiate da lady Giorgia.
Soprattutto visto che, una volta tanto, le opposizioni sembrano unite e compatte nel NO, come lo furono
proprio per il NO a quel referendum ammazza Costituzione voluto da Renzi. “Questa riforma è una vera schifezza – sbotta il segretario PD Elly Schlein – indebolisce il Parlamento e le prerogative del presidente della Repubblica. E’ un vero stravolgimento della Costituzione e della repubblica parlamentare”.
Perfino il sempre sonnacchioso Carlo Calenda, leader di ‘Azione’, colorisce: “Questa riforma è un’arma di distrazione di massa”.
Tentennante (ma pronta a strizzar l’occhiolino alla Meloni) ‘Italia Viva’, da sempre favorevole alla sua idea del ‘Sindaco d’Italia’ ma certo non contraria all’idea del super-premier. Sintetizza Elena Boschi: “No alla norma anti-ribaltone. Se cambiano un po’ la riforma, la voteremo”.
Il ‘conservatore’ e costituzionalista Marcello Pera, ex numero uno a Palazzo Madama, dal canto suo parla di “riforma forzata che può creare conflitti tra gli organi costituzionali”.
In realtà, si tratta di un vero e proprio ‘Golpe bianco’.
Come successe (e come titolò la ‘Voce’) in occasione del referendum ammazza Costituzione griffato Renzi e affossato dagli italiani.
Per capirlo meglio, vi consigliamo la lettura dell’analisi che segue, pubblicata l’8 novembre dall’ottimo sito ‘La Fionda’, firmata da Salvatore Bianco e titolata
Meloni, prove tecniche di premierato assoluto.
E vi proponiamo anche la lettura di una pregevole ricostruzione ‘tecnico-politica’ dell’intera, più che delicata vicenda. Il pezzo, sempre dell’8 novembre, autore Alessandro Calvi, si intitola
Tutti i rischi del premierato voluto da Giorgia Meloni.
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