Che Paese è l’Italia che denuncia inutilmente l’urgenza di immettere nel ciclo produttivo un milione di lavoratori e contemporaneamente si lamenta per la ‘caccia’ a vuoto di personale mancante nelle fabbriche e in settori trainanti: alberghi, ristoranti, località turistiche sotto organico, attività agricole. Qual è, se non l’ideologia razzista, il mal sottile che impedisce di operare con centri d’eccellenza della formazione per l’avviamento al lavoro dei migranti? È
durato un istante, l’inverosimile sospetto di un complotto politico della sinistra, che avrebbe organizzato un esodo di massa dei profughi per creare difficoltà al governo, chissà, per ostacolarlo con un ‘malefico’ quanto fantasioso disegno destabilizzante. Per vendicare la miserevole supposizione, Meloni e soci hanno reagito con la brillante soluzione di ingabbiare i migranti in aree isolate da ogni contesto urbano, praticamente da prigionieri, sorvegliati a vista, come appestati. Il trattamento di quanti fuggono da drammatiche condizioni di vita molto somiglia alla detenzione in prigioni lager (condannate da leggi e norme inequivocabili). Ma di che meravigliarsi se l’ex ministro della giustizia, Roberto Castelli, storico leader della Lega, prende le distanze dal partito di Salvini e non rinnova la tessera del Carroccio? E perché? Perché, da ultra nordista qual è, si ritiene tradito dal segretario che “ha compiuto un’inversione a 180 gradi e abbandona (magari succedesse, ndr) federalismo e autonomia regionale, che punta a catturare consensi al Sud con la promessa del Ponte sullo Stretto invece di investire al Nord come propone Giorgetti.” “Bisogna bloccarli in partenza”, tuona Giorgia la cristiana. E certo, in balia di torturatori, criminali e Paesi d’origine senza futuro.
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