“E’ INIZIATA UNA GUERRA MONDIALE” VOLUTA DAGLI USA / LA PROFEZIA DEL REPORTER JOHN PILGER NEL 2017

L’escalation verso il conflitto globale è sempre più inarrestabile. Un fiume ormai in piena, alimentato con giganteschi quantitativi di benzina sul fuoco dagli Stati Uniti, decisi a tutto, alla ‘guerra fino all’ultimo ucraino’, come sostengono all’unisono con il presidente-pupazzo di Kiev Volodymyr Zelensky.

Nelle ultime ore i fatti sono tutti lì a documentarlo. Vediamoli in rapida carrellata, come in un girone davvero infernale.

Ieri abbiamo aperto le news con la farneticante (ma non troppo, come si vede) ‘uscita’ del numero uno del ‘Comitato di Sicurezza e Difesa’ ucraino, Oleksyi Danilov, il quale ha annunciato, come se nulla fosse, a tutto il mondo (ma ben poco ripreso dal maistream): “E’ iniziata la guerra mondiale”. Lo ha fatto nel corso del fresco ‘Forum sulla Sicurezza’ che si è svolto a Kiev. Al suo fianco, l’ex super generale a stelle e strisce ed ex capo della CIA David Petraeus, il quale ha usato parole e toni, se possibile, ancor più ‘invasati’, ma descrivendo con lucidità la folle strategia bellica di cui gli Stati Uniti non possono fare a meno, giocando (ha usato un farneticante paragone ‘circense’, come potete ri-leggere, se volete, nella notizia di ieri) contemporaneamente su più tavoli di guerra, e aprendo nuovi fronti a getto continuo.

Mykhailo Podolyak. Sopra, John Pilger

Da Kiev, intanto, continuano ad arrivare bordate sempre più feroci contro Papa Francesco, poche ora fa accusato senza mezzi termini dal capo consigliere presidenziale Mykhailo Podoliak di essere filo-russo, grande sodale di Vladimir Putin al punto da finanziarne la banca vaticana (lo ‘IOR’): e quindi totalmente non credibile per portare avanti eventuali negoziati e trattative di pace. Rispedito al mittente, Bergoglio, come un pacco postale: riuscendo, in un colpo solo, a dimostrare totale arroganza, tracotanza, ignoranza e, soprattutto, estrema pericolosità, in un contesto così bollente come quello attuale. E’ l’ennesimo episodio (il precedente di un paio di settimane fa, quando il pontefice era in Mongolia) di una lunga catena di insulti che però almeno raggiungono un risultato: quello di mostrare il vero volto di Kiev, delle sue ‘autorità’ (sic) e del suo guitto-presidente.

Le parole appena pronunciate nel corso del G20 di New Delhi (al quale non è stata invitata significativamente l’Ucraina) dal segretario al Tesoro Usa, Janet Yellen, lasciano poco spazio alle speranze: “Il fatto oggi più destabilizzante per l’economia mondiale è l’aggressione di Mosca contro Kiev”, ha sentenziato, aggiungendo: “Ha aumentato i prezzi di cibo ed energia e siamo perfettamente consapevoli dei rischi per la crescita globale”.

Sul fronte della guerra, ha proseguito Yellen: “E’ fondamentale continuare a fornire assistenza economica e militare all’Ucraina in maniera tempestiva e continuativa”, facendo espresso riferimento a misure come il programma di prestiti da 15 miliardi e mezzo di dollari del Fondo Monetario Internazionale e la proposta UE con un pacchetto di risorse da ben 50 miliardi di euro fino al 2027.

 

Ottimo e abbondante.

Janet Yellen

Passiamo a ‘falchi’ (soprattutto del ‘Dipartimento di Stato’, guidato dai super-guerrafondai Tony Blinken e Victoria Nuland) ed ex comandanti a stelle e strisce.

Titola ‘Responsible Statecraft’, uno dei più aggiornati siti sui temi della politica estera Usa: “I falchi vogliono che Biden combatta la Russia a livello globale”. Scrive nel suo reportage Daniele Larison: “Qualunque cosa Biden abbia fatto a sostegno dell’Ucraina, i falchi lamentano che è stato troppo lento e troppo limitato e hanno spesso esortato Washington a intensificare e ampliare la guerra”. E continua: “L’editorialista del Wall Street Journal, Walter Russell Mead, ritiene che il modo giusto per sfiancare la Russia in una guerra di logoramento, sia attaccare gli interessi russi in aree remote e periferiche del mondo. Mead sostiene che ‘operiamo in un ambiente ricco di obiettivi’ per elevare i ‘costi della guerra al Cremlino’”.

E’ proprio il ragionamento griffato Petraeus, con i tanti ‘piatti’ da circo che gli Usa devono far ruotare (sinistramente) in modo contemporaneo, su tanti scenari di guerra in mezzo mondo.

Douglas McGregor

Eccoci, quindi, alle recenti, e significative parole dell’ex colonnello a stelle e strisce Douglas McGregor. Il quale profetizza: “Si avvicina la fine di tutto”.

Di seguito riportiamo alcune sue frasi, che più terrificanti, soprattutto per noi europei, non si può: “I russi hanno semplicemente deciso di aspettare che si verifichino due sviluppi negli avvenimenti: Il primo sono i negoziati. A quanto pare è inutile aspettarli, perché l’Occidente non li farà fino all’ultimo ucraino. E il secondo. Che le economie europee crolleranno. E per questo secondo punto non dovranno aspettare molto”.

Prosegue, nel suo ragionamento, McGregor: “L’Europa non si trova solo ad affrontare una grave recessione. Ma in vista dell’inverno, i problemi con il carburante, l’approvvigionamento del gas per la produzione industriale e per il riscaldamento delle case diventeranno catastrofici. Penso che la UE sia in pericolo, quindi penso che i russi abbiano deciso: aspettiamo un po’ finchè tutto non crollerà da solo. Questo perché non vogliono davvero uccidere nessuno. Voglio ricordarvi: Putin non è affatto come noi. Putin vuol vivere in pace con l’occidente, vivere in pace con gli ucraini. E noi al contrario diciamo: non vogliamo vivere in pace con Putin. Ecco dov’è il problema. Allora abbiamo detto: Putin deve andarsene. Il suo ‘regime’ deve cadere. La Russia deve essere divisa, frammentata, venduta a pezzi.

Nota: anche in Siria l’occidente diceva le stesse cose: Assad deve andare via, il suo regime deve cadere, la Siria deve essere divisa. Abbiamo visto come è andata a finire. Non funzionerà. Quindi tutto dipende ora dagli europei: loro possono mettere fine a tutto questo”.

E detto tutto questo, vi proponiamo, a seguire, la lettura di un più che profetico reportage firmato da un grande giornalista e documentarista australiano, John Pilger, di cui la ‘Voce’ (potete leggere cliccando sui link in basso) ha già scritto diverse volte.

Si tratta di un intervento del marzo 2016, oltre sette anni fa, titolato – in modo che più significativo non si può – “E’ iniziata una guerra mondiale”. Vi raccomandiamo di analizzarlo con estrema cura, passaggio dopo passaggio, frase per frase. Una perfetta radiografia del mondo come sarebbe diventato: stupefacente.

Dopo un inizio quasi ‘favolistico’, vi troverete immersi in una realtà che oggi stiamo tutti vivendo sulla nostra pelle, per volere dei Padroni del Mondo, gli Usa, che hanno dettato e continuano a dettare la loro Agenda di Morte, eseguita a puntino – fino ad oggi – dai sempre scodinzolanti alleati, Italia in pole position, come stiamo abbondantemente verificando con i nostri ultimi governi, e con le genuflessioni continue della premier Giorgia Meloni di fronte ai diktat in arrivo costante dalla Casa Bianca.

Qualche breve nota su John Pilger. Inizia la sua carriera di reporter al ‘Sydney Times’ nel 1958, poi passa all’edizione australiana del ‘Daily Telegraph’, quindi al londinese ‘Daily Mirror’, dove lavora per molti anni e infatti oggi risiede in Inghilterra, dove per due volte è stato proclamato ‘Journalist of the year’. E’ stato corrispondente dai più caldi fronti di guerra: Vietnam, Cambogia, Palestina, Timor est, Iraq, Biafra, Bangladesh.

Nel 1979 realizzata il docu-film ‘Year Zero’ sugli eccidi dei khmer rossi: scoprì che a finanziarli, in chiave antirussa e antivietnamita, non c’era solo la Cina, ma anche gli Stati Uniti. Nel 2007 viene presentato al Festival di Cannes ‘War on Democracy’.

Ecco, quindi, la parola a Pilger. E al suo profetico E’ iniziata una guerra mondiale’ della primavera 2016.

 

 

 

E’ iniziata una guerra mondiale. Rompiamo il silenzio

di John Pilger

 

Ho girato delle riprese nelle Isole Marshall, che si trovano a nord dell’Australia, nel mezzo dell’Oceano Pacifico. Ogni volta che ho raccontato dov’ero stato mi è stato chiesto: “Dov’è quel posto?” Offro un’indicazione citando “Bikini”; mi dicono “Intendi il costume da bagno?”

Pochi sembrano sapere che il costume bikini ha preso il nome dalla celebrazione delle esplosioni nucleari che distrussero l’Isola di Bikini. Nelle Isole Marshall, tra il 1946 e il 1958, furono fatte esplodere dagli Stati Uniti sessantasei bombe atomiche, l’equivalente di 1,6 bombe di Hiroshima al giorno, per dodici anni.

Bikini oggi tace, deformata e contaminata. Le palme crescono in una strana formazione a reticolo. Nulla si muove. Non ci sono uccelli. Le lapidi nel vecchio cimitero brulicano di radiazioni. Le mie scarpe hanno prodotto un segnale di “pericolo” su un contatore Geiger.

In piedi sulla spiaggia ho osservato il verde smeraldo del Pacifico svanire in un vasto buco nero. Era il cratere lasciato dalla bomba all’idrogeno chiamata “Bravo”. L’esplosione ha avvelenato le persone e il loro ambiente per centinaia di miglia, forse per sempre.

Lungo il mio viaggio di ritorno mi sono fermato all’aeroporto di Honolulu e ho notato una rivista statunitense chiamata Women’s Health [Salute delle donne]. Sulla copertina c’era una donna sorridente in bikini e il titolo: “Anche tu puoi avere un corpo da bikini”. Alcuni giorni prima, nelle Isole Marshall, avevo intervistato donne che avevano “corpi da Bikini” diversi; ognuna di loro aveva sofferto di cancro alla tiroide e di altri cancri potenzialmente mortali.

Diversamente dalla donna sorridente della rivista, tutte loro erano impoverite: vittime e cavie da laboratorio di una superpotenza rapace che oggi è più pericolosa che mai.

Riferisco questa esperienza come ammonimento e per interrompere una distrazione che ha consumato così tanti di noi. Il fondatore della propaganda moderna, Edward Bernays, ha descritto questo fenomeno come “la consapevole e intelligente manipolazione delle abitudini e delle opinioni” delle società moderne. L’ha chiamato un “governo invisibile”.

Quanti sono consapevoli che è iniziata una guerra mondiale? Al momento è una guerra di propaganda, di menzogne e distrazione, ma può cambiare istantaneamente con il primo ordine sbagliato, con il primo missile.

Nel 2009 il presidente Obama era di fronte a una folla adorante nel centro di Praga, nel cuore dell’Europa. Se impegnò a rendere “il mondo libero da armi nucleari”. La gente esultava e alcuni piangevano. Dai media è fluito un torrente di stereotipi. Successivamente a Obama è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace.

Era tutto falso. Mentiva.

L’amministrazione Obama ha fabbricato altre armi nucleari, altre testate nucleari, altri sistemi di lancio, altre fabbriche nucleari. La sola spesa in testate nucleari è cresciuta più sotto Obama che sotto qualsiasi presidente statunitense. Il costo in trent’anni è stato superiore a un trilione di dollari.

Ci sono piani per una mini bomba atomica. E’ nota come B61 Model 12. Non c’è mai stato nulla di simile. Il generale James Cartwright, ex vicepresidente dei Capi di Stato Maggiore Riuniti, ha affermato: “Diventando più piccola [l’uso di questa atomica] è più concepibile”.

Negli ultimi diciotto mesi sta avendo luogo il maggior accumulo di forze militari dopo la seconda guerra mondiale – guidato dagli Stati Uniti – lungo la frontiera occidentale della Russia. Da quando Hitler invase l’Unione Sovietica forze straniere non hanno mai costituito una simile minaccia dimostrabile contro la Russia.

L’Ucraina – un tempo parte dell’Unione Sovietica – è diventata un parco a tema della CIA. Avendo orchestrato un colpo di stato a Kiev, Washington controlla efficacemente un regime che è vicino di casa e ostile alla Russia: un regime marcio di nazisti, letteralmente. Eminenti figure parlamentari in Ucraina sono discendenti politiche dei famigerati fascisti dell’OUN e dell’UPA. Lodano apertamente Hitler e chiedono la persecuzione e l’espulsione della minoranza di lingua russa. Ciò fa raramente notizia in occidente, oppure è rovesciato per sopprimere la verità.

In Latvia, Lituania ed Estonia – a un passo dalla Russia – l’esercito statunitense sta dispiegando truppe da combattimento, carri armati, armi pesanti. Questa provocazione estrema alla seconda potenza nucleare del mondo incontra il silenzio dell’occidente.

Ciò che rende la prospettiva di una guerra nucleare persino più pericolosa è una campagna parallela contro la Cina.

Raramente passa un giorno senza che Cina sia elevata allo status di “minaccia”. Secondo l’ammiraglio Harry Harris, il comandante USA del Pacifico, la Cina “sta costruendo un grande muro di sabbia nel Mar Cinese Meridionale”.

Ciò cui si riferisce è la costruzione cinese di piste d’atterraggio nelle Isole Spratly, che sono oggetto di una disputa con le Filippine; una disputa senza priorità fino a quando Washington non ha esercitato pressioni e corrotto il governo di Manila e il Pentagono ha lanciato una campagna propagandistica chiamata “libertà di navigazione”.

Che cosa significa realmente questo? Significa libertà per le navi da guerra statunitensi di pattugliare e dominare le acque costiere della Cina. Cercate di immaginare la reazione degli Stati Uniti se navi da guerra cinesi facessero lo stesso al largo delle coste della California.

Ho girato un documentario intitolato The War You Don’t See [La guerra che non si vede] in cui ho intervistato giornalisti illustri negli Stati Uniti e in Gran Bretagna: giornalisti quali Dan Rather della CBS, Rageh Omar della BBC, David Rose dell’Observer. 

Tutti loro hanno affermato che se i giornalisti e i commentatori televisivi avessero fatto il loro lavoro e avessero messo in discussione la propaganda che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa, se le bugie di George W. Bush e di Tony Blair non fossero state amplificate ed echeggiate dai giornalisti, l’invasione dell’Iraq nel 2003 non avrebbe avuto luogo e centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini sarebbero vivi oggi.

La propaganda che prepara il terreno per una guerra contro la Russia e/o la Cina non è diversa in linea di principio. Per quanto ne so, nessun giornalista della “tendenza dominante” in Occidente – diciamo un equivalente di Dan Rather – chiede perché la Cina stia costruendo piste d’atterraggio nel Mar Cinese Meridionale.

La risposta dovrebbe essere palesemente ovvia. Gli Stati Uniti stanno circondando la Cina con una rete di basi, con missili balistici, gruppi da combattimento, bombardieri carichi di armi atomiche.

Questo arco letale si estende dall’Australia alle isole del Pacifico, le Marianne e le Marshall e Guam, fino alle Filippine, alla Tailandia, a Okinawa, alla Corea e attraverso l’Eurasia fino all’Afghanistan e all’India. Gli Stati Uniti hanno appeso un cappio attorno al collo della Cina. Questo non fa notizia. Silenzio dei media; guerra mediatica.

Nel 2015, in grande segretezza, gli USA e l’Australia hanno inscenato la più grande esercitazione militare singola aeronavale della storia recente, nota come Talisman Sabre. Lo scopo consisteva nel provare una Piano di Battaglia Aeronavale, bloccando vie marittime, come gli Stretti di Malacca e gli Stretti di Lombok, che tagliano l’accesso della Cina al petrolio, al gas e ad altre materie prime vitali dal Medio Oriente e dall’Africa.

Nel circo noto come campagna presidenziale statunitense Donald Trump è presentato come un matto, un fascista. E’ certamente odioso, ma è anche una figura odiosa mediatica. Questo, da solo, dovrebbe suscitare il nostro scetticismo.

Le idee di Trump sull’immigrazione sono grottesche, ma non più grottesche di quelle di David Cameron. Non è Trump che è il Grande Deportatore dagli Stati Uniti, bensì il Premio Nobel per la Pace Barack Obama.

Secondo un epico commentatore liberale Trump sta “scatenando le forze oscure della violenza” negli Stati Uniti. Le sta scatenando? 

Questo è il paese dove gli infanti sparano alle loro madri e la polizia conduce una guerra omicida contro gli statunitensi neri. Questo è il paese che ha attaccato e cercato di sovvertire più di 50 governi, molti di essi democrazie, e ha condotto bombardamenti dall’Asia al Medio Oriente, causando la morte e la spoliazione di milioni di persone.

Nessun paese è in grado di uguagliare questo record sistemico di violenza. La maggior parte delle guerre statunitensi (quasi tutte contro paesi indifesi) è stata scatenata non da presidenti Repubblicani bensì da Democratici liberali: Truman, Kennedy. Johnson, Carter, Clinton, Obama.

Nel 1947 una serie di direttive del Comitato per la Sicurezza Nazionale ha descritto lo scopo fondamentale della politica estera statunitense come “un mondo sostanzialmente fatto a propria immagine [degli Stati Uniti]”. L’ideologia era un americanismo messianico. Siamo tutti statunitensi. O peggio per chi non ci sta. Gli eretici sarebbero convertiti, sovvertiti, comprati, diffamati o schiacciati.

Donald Trump è un sintomo di questo, ma è anche un originale. Dice che l’invasione dell’Iraq è stata un crimine; non vuole entrare in guerra con la Russia e la Cina. Il pericolo per il resto di noi non è Trump, ma Hillary Clinton. Lei non è un’originale. Lei incarna la resistenza e la violenza di un sistema il cui vantato “eccezionalismo” è totalitario con un volto occasionalmente liberale.

Con l’approssimarsi del giorno delle elezioni, la Clinton sarà salutata come il primo presidente femmina, indipendentemente dai suoi crimini e dalle sue bugie, proprio come Barack Obama era stato lodato come il primo presidente nero e i liberali si erano digeriti la sua scempiata riguardo alla “speranza”. E la bava continua.

Descritto dal giornalista del Guardian Owen Jones, come “divertente, affascinante, con una finesse che manca praticamente a ogni altro politico”, Obama l’altro giorno ha mandato droni a massacrare 150 persone in Somalia. Di solito uccide di martedì, secondo il New York Times, quando gli passano la lista dei candidati alla morte per drone. Che finesse!

Nella campagna presidenziale del 2008 Hillary Clinton ha minacciato di “cancellare totalmente” l’Iran con armi nucleari. Da Segretario di Stato sotto Obama ha partecipato al rovesciamento del governo democratico dell’Honduras. Il suo contributo alla distruzione della Libia nel 2011 è stato quasi gioioso. Quando il leader libico, colonnello Gheddafi, è stato pubblicamente sodomizzato con un coltello – un assassinio reso possibile dalla logistica statunitense – ha gongolato per la sua morte: “E’ venuto, ha visto, è morto”.

Una delle alleate più strette della Clinton è Madeleine Albright, ex Segretario di Stato, che ha attaccato giovani donne per il loro mancato sostegno a “Hillary”. E’ la stessa Madeleine Albright che famigeratamente festeggiò in televisione la morte di mezzo milione di bambini iracheni dicendo che ne era “valsa la pena”.

Tra i maggiori sostenitori della Clinton vi sono la lobby israeliana e le industrie delle armi che alimentano la violenza in Medio Oriente. Lei e suo marito hanno ricevuto una fortuna da Wall Street. E tuttavia sta per essere ordinata candidata delle donne, per far fuori il malvagio Trump, il demone ufficiale. Le sue sostenitrici includono eminenti femministe del calibro di Gloria Steinem negli USA e Anne Summers in Australia.

Una generazione fa, un culto post-moderno oggi noto come “politica identitaria” ha impedito a molte persone intelligenti, di idee liberali di esaminare le cause e gli individui che sostenevano: come l’impostura di Obama e Clinton; come movimenti progressisti fasulli quali Syriza in Grecia, che ha tradito il popolo di quel paese e si è alleato con i suoi nemici.

L’egocentrismo, una forma di “me-ismo”, è divenuto il nuovo spirito dell’epoca in società occidentali privilegiate e ha segnalato la caduta dei grandi movimenti collettivi contro la guerra, le ingiustizia sociali, la disuguaglianza, il razzismo e il sessismo.

Oggi il lungo sonno può essere terminato. I giovani si stanno muovendo di nuovo. Gradualmente. Le migliaia che in Gran Bretagna hanno sostenuto Jeremy Corbyn come leader del Partito Laburista fanno parte di questo risveglio, così come quelli che hanno manifestato a sostegno del senatore Bernie Sanders.

In Gran Bretagna la settimana scorsa il più stretto alleato di Jeremy Corbyn, il suo tesoriere ombra John McDonnell, ha impegnato un governo laburista a rimborsare i debiti delle banche piratesche e, in effetti, a continuare la cosiddetta austerità.

Negli USA Bernie Sanders ha promesso di appoggiare la Clinton se o quando sarà nominata. Anche lui ha votato a favore dell’uso statunitense della violenza contro altri paesi quando lui pensa sia “giusto”. Dice che Obama ha fatto “un grande lavoro”.

In Australia c’è una specie di politica da obitorio, in cui si giocano sui media tediose partite parlamentari mentre profughi e indigeni sono perseguitati e cresce la disuguaglianza, accanto al pericolo di una guerra. Il governo di Malcom Turnbull ha appena annunciato un cosiddetto bilancio della difesa da 195 miliardi di dollari che è una spinta alla guerra. Non ci sono stati dibattiti. Silenzio.

Che cosa è successo alla grande tradizione di azione diretta popolare, libera dai partiti? Dove sono il coraggio, l’immaginazione e l’impegno necessari per cominciare il lungo viaggio verso un mondo migliore, giusto e pacifico? Dove sono i dissidente nell’arte, nel cinema, nel teatro, nella letteratura?

Dove ci sono quelli che spezzeranno il silenzio? O stiamo aspettando che sia lanciato il primo missile nucleare?

 

Questa è una versione rivista di un discorso di John Pilger all’Università di Sidney, intitolato ‘E’ cominciata una guerra nucleare’. 

 

Fonte: 

CENTRO STUDI SERENO REGIS 

 

http://zcomm.org/znetarticle/a-world-war-has-begun-break-the-silence/

traduzione di Giuseppe Volpe

 

 

LINK VOCE

John Pilger: il grande gioco di distruggere i Paesi

 

JOHN PILGER / IL VIRUS PIU’ LETALE E’ LA GUERRA

 

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