Situazione sempre più incandescente sul fronte ucraino.
A gettare ulteriore benzina sul fuoco, qualora ce ne fosse ancora bisogno, le farneticanti parole pronunciate dal Segretario generale della NATO, Jens Stoltemberg, poche ore fa, nel corso di una conferenza stampa.
Ecco due chicche, fra le tante. “Vladimir Putin deve assolutamente perdere questa guerra. Per questo dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze, e tutti quanti noi dell’Alleanza atlantica, perché trionfi l’Ucraina”.
“Per questo motivo, tutti gli alleati devono impegnarsi per fornire armi e armamenti a Kiev in modo sempre più massiccio e continuo”.
“Ed esortiamo l’industria militare di tutti i paesi nell’implementare in modo altrettanto massiccio la produzione di armi e armamenti”.
Più chiari di così davvero non si può.
Con poche frasi, senza tanti giri di parole, uscendo da qualsiasi bizantinismo diplomatico, il numero uno della NATO (in scadenza, è bene ricordarlo, perché la sua carica è stata ‘prorogata’ a febbraio proprio per lo scoppio del conflitto e il successore in pectore è il nostro ex premier Mario Draghi) mette nero su bianco e finalmente chiarisce i reali obiettivi della NATO e del suo maggiore azionista, gli Stati Uniti (i paesi UE, scodinzolanti, seguono a ruota).
Il primo è un cambio di leadership in Russia. Putin deve essere eliminato, con le buone o con le cattive. Il suo nome, ormai, è stato cancellato dall’Agenda USA-NATO-UE. E chissenefrega se poi ne viene uno ‘peggio’ di lui, un super falco.
Perché – ed eccoci al secondo vero obiettivo – la guerra deve continuare ad oltranza e richiedere sempre più armi e armamenti d’ogni sorta affinchè l’Ucraina abbia più chance per la controffensiva.
In soldoni, occorre che l’industria militare soprattutto americana, ma anche dei paesi alleati, produca sempre più missili e tank, realizzi profitti sempre più giganteschi, e possa essere il vero motore del rilancio economico di paesi che, altrimenti, sprofondano nella spirale recessione-inflazione.
Sangue, eccidi, stragi, massacri per ‘nutrire’ il Motore dell’Economia a stelle e strisce, e, a cascata, pur se in misura più limitata, quella degli alleati UE. Ai quali fa comunque bene una cura dimagrante, una bella crisi energetica, bollette sempre più care, crollo dell’occupazione, fine rifornimenti dalla Russia e dipendenza assoluta dal gas americano, molto ma molto più caro.
Ok?
Per farvi districare nella giungla di strampalerie e fake news d’ogni sorta che invadono i media nostrani soprattutto in questi bollenti giorni, vi proponiamo la lettura di un pezzo pubblicato il 10 ottobre sul sempre più stimolante sito ‘Piccole Note’: si intitola “I raid sull’Ucraina e la proposta di pace di Musk (e di Kissinger)”.
A seguire, potete trovare il link di un altro interessante pezzo, sempre proposto da ‘Piccole Note’ l’8 ottobre, quindi prima dei raid russi; il titolo è “Gli Usa cominciano a riflettere su come finire la guerra”.
I raid sull’Ucraina e la proposta di pace di Musk (e di Kissinger)
L’attacco al ponte che collega la Crimea alla Russia ha avuto conseguenze devastanti, come avevamo paventato nella nota precedente. Il Cremlino ha parlato di attacco terroristico, come di fatto è stato anche nelle modalità: i camion bomba sono stati usati per la prima volta nella guerra siriana da al Nusra, cioè al Qaeda.
Una firma notata anche da Christelle Néant che sul sito al Manar scrive: “Ricordo che da anni l’Ucraina arruola terroristi islamici esfiltrati dalla Siria, e terroristi ceceni, ad alcuni dei quali la SBU [l’intelligence ucraina ndr] ha anche rilasciato passaporti ucraini (promemoria: con questi possono poi entrare nella UE senza visto). Non sorprende quindi vedere l’Ucraina usare gli stessi metodi dei terroristi islamisti in Siria”.
I raid sull’Ucraina e il discorso di Putin
Dopo aver improvvidamente gioito per l’attentato, le autorità ucraine, evidentemente ammonite dai loro sponsor a non esagerare, hanno detto che ci sarebbe una faida interna agli apparati russi, una parte dei quali avrebbe messo a segno l’attacco.
Un tentativo di nascondere la mano dopo aver tirato il sasso, smentito dai loro stessi sponsor: il Washington Post, infatti, ha indicato chiaramente le responsabilità della Sbu, ripetendo così il copione che si era registrato per l’attentato terroristico che aveva ucciso Daria Dugina, figlia del politologo russo Aleksandr Dugin, che Kiev aveva attribuito ai russi attirandosi la secca smentita del New York Times.
L’attentato al ponte ha scarso o nullo impatto sul teatro di guerra, né aveva tale scopo. Serviva per provocare un’escalation, così da soffocare sul nascere i primi tentativi di Washington di aprirsi a una possibilità di negoziato. E sono riusciti nello scopo.
Significative in tal senso le parole del governatore della Crimea Sergei Aksyonov, il quale detto che, dopo l’attentato, l’operazione speciale russa avrebbe cambiato natura, aggiungendo agli attuali obiettivi anche le infrastrutture dell’Ucraina (Ria novosti).
E non è un caso che a parlare sia stato Aksyonov, perché il ponte colpito si trova sotto la sua giurisdizione, ma non è un caso anche che le sue parole non abbiano trovato grande eco a Mosca.
Così la risposta russa c’è stata, con raid su tutte le città ucraine contro infrastrutture e obiettivi strategici, con missili lanciati anche nei pressi della sede della Sbu e del palazzo presidenziale (e presumibilmente contro alcune sedi segrete di Cia e Nato in Ucraina), per far capire che, se volessero, incenerirebbero l’Ucraina in un giorno.
Ma poi ha parlato Putin e, come accaduto altre volte, ha frenato, affermando che la Russia proseguirà nei suoi attacchi al territorio ucraino se Kiev continuerà a colpire obiettivi russi (oltre al ponte, il presidente russo ha parlato di tre tentativi falliti di sabotaggio alla centrale atomica di Kursk e di un analogo attacco fallito contro il Turkish stream, azioni che, insieme all’attentato al ponte di Kerch, hanno innescato la risposta russa). Tradotto, i raid ad ampio raggio possono cessare, se cesseranno gli analoghi della controparte sul territorio russo.
Il piano di pace di Elon Musk
Questa escalation potrebbe restare solo una parentesi, e però urge ugualmente che gli “Stati Uniti cambino rotta”, come scrive Josh Hammer su Newsweek, abbandonando la loro posizione “manichea” figlia del “massimalismo ucraino”, in cui al Putin “malvagio” si contrappone il “nobile” Zelensky, con gli Stati Uniti impegnati a sostenere “lo sforzo ucraino di riconquistare ogni centimetro quadrato di territorio del Donbass e della Crimea al suo avversario armato di armi nucleari, a prescindere dai costi” di tale approccio.
Un approccio, continua Hammer, “stupido e controproducente per l’interesse degli Stati Uniti in queste aree contese. Il nostro interesse nazionale per il teatro ucraino non coincide con la posizione assolutista di Zelensky; il nostro interesse è la de-escalation, la distensione e la pace“.
“Ma se vogliamo raggiungere questi obiettivi specialmente ora che la minaccia di una guerra nucleare sta emergendo apertamente – dal momento che molti in Occidente sostengono incautamente gli appelli per l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e lo stesso Zelensky, affamato di guerra, chiede alla Nato un ‘attacco preventivo’ contro la Russia —Biden ha bisogno di guardare in faccia la realtà e cambiare immediatamente la rotta strategica”.
Hammer, che resta scettico sull’ipotesi di tale cambiamento di rotta, non è l’unico a lanciare appelli in tal senso. Significativo quanto scrive, ad esempio, Mark Episkopos sul Nazional Interest, il quale, pur partendo da tutt’altra posizione, raggiunge le stesse conclusioni.
Secondo Episkopos, al contrario di quanto afferma Hammer, Washington non starebbe assecondando le spinte incendiarie di Zelensky infatti: “La Casa Bianca, sebbene fortemente impegnata nel successo dell’Ucraina, ha tracciato rigidi confini militari e politici volti a prevenire l’escalation nucleare e a impedire che il conflitto si trasformi in una più ampia guerra convenzionale nel continente europeo”.
E però, e nonostante le differenze tra i due analisti, anche per Episkopos urge aprire una finestra diplomatica per trovare vie di pace. E anche lui, come Hammer, ritiene che una possibile base di negoziato possa essere la proposta avanzata da Elon Musk (per il miliardario urge un cessate il fuoco, seguito da referendum da svolgersi nel Donbass per stabilire se tali territori siano russi o ucraini, con la Crimea che resta russa).
Tale proposta è stata bollata come filo-russa e illusoria, invece secondo Episkopos “è una variante aggiornata e un po’ più meditata del piano di pace proposto da Henry Kissinger all’inizio di quest’estate”. E Kissinger non può certo essere tacciato di filo-putinismo o di scarso contatto con la realtà.
Sebbene prospettive di Musk e Kissinger “differiscano su alcuni dettagli – conclude Episkopos – si basano sugli stessi presupposti di fondo: non esiste una soluzione militare alla tragedia umana che si sta consumando in Ucraina e i politici devono abbandonare i sogni di pace irragionevoli basati su una vittoria totale per avviare un serio impegno diplomatico. I prossimi negoziati saranno di certo difficili, ma l’alternativa incombente – uno scontro frontale tra le due maggiori potenze nucleari del mondo – è impensabile”.
Come per la crisi dei missili cubani del ’62 urge un accordo tra le due superpotenze. Lo ha detto Biden, lo ha ripetuto, nella sua inermità, pure autorevole, papa Francesco nell’Angelus di ieri. Una prospettiva che evidentemente inizia a circolare in Occidente, seppur sottotraccia. Urge concretizzarla prima che la situazione, sotto la spinta dei falchi affamati di guerra, vada fuori controllo.
Gli Usa cominciano a riflettere su come finire la guerra
Di grande interesse un articolo pubblicato oggi sul New York Times dal titolo: “Nell’affrontare la minaccia di Putin, Biden presta attenzione alla lezione sulla crisi dei missili cubani”. Nota importante sia per il contenuto sia per l’autore, David Sanger, penna più che autorevole del giornale (e non certo una colomba).
La nota riferisce l’allarme pubblico di Biden, che ha parlato della crisi attuale in toni drammatici, evocando l’Armageddon e aggiungendo che ricorda la crisi dei missili cubani, quando il mondo fu sul punto di un disastro nucleare.
Nel riferire le parole del presidente, Sanger ricorda come allora la criticità si risolse attraverso un accordo segreto tra i due leader, che segreto rimase a lungo. Interessante l’aggiunta: “Da settimane ormai, gli assistenti di Biden stanno riflettendo se può esserci un’intesa analoga, un modo per trovare una soluzione“.
Come da narrativa dominante, la criticità attuale sarebbe data dal fatto che Putin, ferito dalle sconfitte sul campo di battaglia, si spinga a usare le armi atomiche, anche se attualmente non c’è alcuna attività in tal senso, come annota anche Sanger riferendo le informazioni relative provenienti dagli apparati Usa.
La realtà è alquanto diversa, cioè che a incrementare l’escalation è ben altro, ma ne abbiamo scritto in altre note ed è inutile aggiungere; quel che conta è che per la prima volta nell’establishment degli Stati Uniti, oltre a parlare di dare armi all’Ucraina, ci si stia interpellando seriamente sulla possibilità di trovare una soluzione alla guerra ucraina.
Sanger spiega che tali riflessioni avvengono nel segreto, perché favorisce il successo di un’eventuale mediazione, così come nel segreto era stata trovata la soluzione dei missili cubani.
La via d’uscita, non mettere l’avversario con le spalle al muro
“Quindi – prosegue il cronista – è stata una sorpresa il fatto che il primo membro dell’amministrazione a parlare apertamente di come evitare di forzare la mano a Putin sia stato lo stesso presidente, nella casa di New York di James Murdoch, figlio di Rupert Murdoch, presidente esecutivo di News Corp e proprietario, tra l’altro, del Wall Street Journal”.
“Stiamo cercando di capire qual è la via di uscita di Putin”, ha affermato Biden, nell’ambito di una conversazione nella quale si parlava per lo più di politica interna”.
“'[…] Dove trova una via d’uscita? Come si trova un modo in cui non perde – non solo la faccia, ma anche un potere significativo all’interno della Russia?’. Biden non ha dato una risposta a queste domande, che fanno eco a quelle dei suoi collaboratori”.
Quindi Sanger si dilunga sulla situazione attuale, con le affermazioni di Putin sulla possibile risposta atomica in caso di attacco al territorio russo e Biden che risponde evocando l’Armageddon.
Ma allarmando su tale pericolo, annota Sanger, “il messaggio principale che Biden sembrava trasmettere è che stava studiando una delle lezioni centrali della crisi dei missili cubani. […] Quella lezione, nella sua riflessione, è che gli Stati Uniti e i loro alleati devono evitare di mettere Putin con le spalle al muro, costringendolo a colpire”.
Eventuali trattative e certi sabotaggi
Accenno invero molto interessante. Ma ancor più interessante è quando l’articolo indugia su un altra criticità di questa guerra: “Nessuno nell’amministrazione vuole suggerire, in pubblico o in privato, che il governo del presidente Volodymyr Zelensky receda dal proposito di scacciare le truppe russe da ogni angolo dell’Ucraina fino ai confini che esistevano il 23 febbraio, cioè il giorno prima dell’inizio dell’invasione”.
“Ma a porte chiuse, affermano alcuni diplomatici e funzionari militari occidentali, questa è esattamente la conversazione che dovrebbe svolgersi se l’obiettivo è bilanciare la riconquista del territorio e impedire a Putin” di proseguire la guerra e aumentare l’escalation.
Val la pena accennare che tale riflessione su una possibile uscita dal conflitto è accompagnata da un fatto concreto, cioè che gli Stati Uniti hanno risposto niet alla richiesta ucraina di avere a loro disposizione missili a lungo raggio, in grado di colpire la Russia in profondità.
Ma tale processo distensivo, semmai si concretizzerà, è e sarà accompagnato da incidenti di percorso volti a far deragliare l’eventuale negoziato segreto. Lo indica, ad esempio, l’attentato sul ponte che collega la Russia alla Crimea.
Una provocazione di altissimo livello, sia per la sua importanza strategica, sia perché è obiettivo russo e non territorio ucraino da riconquistare, sia perché espressamente voluto da Putin, che ha voluto presenziarne l’inaugurazione.
L’attentato ha provocato danni minimi, ma prelude ad altre azioni similari, volte cioè non tanto a colpire la Russia, quanto ad affondare le prospettive di pace che stanno emergendo negli Stati Uniti.
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