Finalmente il re (il reuccio) è nudo. Senza più una foglia di Fico a ricoprirne le sembianze.
Finalmente il cancro che ha ormai da tempo creato danni e metastasi nel corpo dei 5 Stelle se n’è andato per la sua futura radiosa strada, illuminato sulla via del draghismo, del turbo capitalismo, dell’atlantismo più fedele che mai, dell’europeismo fino a qualche anno fa aborrito: di un ‘Sistema’ insomma che il Vaffa Day grillino aveva mandato a quel Paese – come segno identitario preciso di un movimento che nasce per cambiare sul serio le cose – e che invece lui, lo Storico, il super ministro degli Esteri, al secolo Giggino Di Maio, voleva ormai da tempo riesumare, sentendolo come un proprio patrimonio ‘genetico’.
GRAZIE, SAN GENNARO
Per fortuna ci sono volute solo poche ore per questo aborto che più spontaneo, anche se tardivo, non si può. Già non pochi ipotizzavano settimane di estenuanti trattative dentro i 5 stelle, un tira e mola asfissiante.
E invece no il miracolo. Il secondo che San Gennaro ha messo a segno nel giro di pochissime ore: Emmanuel Macron preso a calci dai francesi, il presidente rivoluzionario, Gustavo Petro, eletto a sorpresa in Colombia (attenzione: è il segno che qualcosa può cambiare davvero non solo per i destini del sempre martoriato Sud America, ma in tutto il mondo) e, ciliegina sulla torta, l’addio di Giggino ‘o bibbitaro del San Paolo al ‘suo’ (sic) Movimento.
Del quale ormai non riconosce più alcun tratto identitario.
Una trasformazione para-antropolitica, quella griffata Di Maio, una ‘doctor Jekyll mister Hyde story’ in piena regola.
Basta scorrere le fresche parole pronunciate dal pomiglianese per rendersi conto del cambiamento da 180 gradi (non possiamo dire 360 perché altrimenti sarebbe tornato al punto di partenza).
Poche frasi possono chiarire l’arcano.
“Uno non vale l’altro”, proclama oggi il fondatore del nuovo movimento per ‘Italia per il Futuro’ (IPIF per i fans): ma poteva spremersi le meningi un tantino in più l’ideatore del nuovo format politico, che fa ridere polli, galline e pulcini in ogni dove?
‘Uno vale uno’ è stato il principio cardine (a volte giustamente criticato) del movimento fondato da Beppe Grillo. Ora buttato nel sacchetto della monnezza da uno dei suoi co-fondatori.
“Ci siamo ancorati a vecchi modelli”, spiega oggi il Vate da Pomigliano. “Non è vero che uno vale l’altro, perché per fare le cose ci vuole esperienza e competenza”.
Ecco, è lui stesso la perfetta incarnazione della palese contraddizione (o meglio, auto-contraddizione). Dimostrabile anche da un maestrino alle elementari.
VIVA I BIBITARI (VERI)
Ora un qualsiasi storico, anche non troppo attrezzato, ci deve spiegare come mai il ‘bibbitaro’ (una boutade ripetuta da Lilli Gruber sere fa nel suo talk) è stato nominato ministro degli Esteri. Con quale criterio è stato scelto dal primo ministro e poi il capo dello Stato Sergio Mattarella ha firmato il decreto di nomina.
Qui non si tratta di fare – ci mancherebbe altro – un discorso classista: anche un bibitaro studiando si può formare, può crescere sotto tutti i profili, soprattutto quello culturale, può diventare qualcuno: è il tipico modello americano, dove 1 su 1000 ci riesce e da bibitaro diventa reuccio della pizza.
La scala sociale – nelle vere democrazie, soprattutto quelle ‘socialiste’ o almeno ‘progressiste’ – deve prevedere una mobilità sempre più accentuata: per consentire a chi ha avuto meno mezzi di competere alla pari con chi ne ha avuti di più. E quindi uno, dieci, cento Di Maio che possano salire su quell’ascensore sociale!
Ma da qui a ricoprire una carica di peso così strategico (lo stiamo sperimentando ogni giorno durante questo drammatico conflitto) come quella di titolare della Farnesina, il quale deve confrontarsi quotidianamente con i ministri degli Esteri di mezzo mondo e poter interlocuire con competenza, cognizione di causa e, soprattutto, autorevolezza, ce ne corre.
Ma ve lo ricordate il Giggino, appena insediato sulla poltrona maxima della Farnesina, alle prese con un corso accelerato di inglese, una full immersion che ha fatto ridere mezzo mondo?
Lode all’impegno, al sudore patito in quelle lezioni per arrampicarsi sulle vette scoscese della lingua d’Albione, alle canottiere madide sacrificate per la Patria: ma c’è un limite a tutto. Avrà imparato – come aveva già indicato la via un altro Vate di casa nostra, Matteo Renzi – un po’ d’inglese: ma le altre lingue, niente? Tabula rasa, neanche una mini infarinatura?
DAI MORO AI DI MAIO
Usciamo dagli scherzi (ma fino ad un certo punto): quale cultura politica, e soprattutto storica, avrà mai potuto maturare in pochi anni il nostro steward(era questa la sua vera mansione allo stadio San Paolo fino a dodici anni fa esatti)?
Ve li ricordate alcuni nomi di ministri degli Esteri della nostra povera Italia? Facciamo solo qualche esempio. Il fondatore della Dc Alcide De Gasperi, Aldo Moro (due volte), il segretario socialista Pietro Nenni, Antonio Segni e Giuseppe Saragat prima di diventare presidenti della repubblica. Si potranno avere le più svariate valutazioni su quelle carriere politiche. Ma vivaddio, tutti avevano una credibilità e un’autorevolezza internazionale non comparabile: come mettere e confronto Einstein e Pico de Paperis.
Ma torniamo alle già mitiche parole pronunciate da Di Maio per il suo addio ai 5 Stelle.
“Vogliamo stare dalla parte della Storia”, dice gonfiando il petto a nome del neo movimento, IPIF. Quando il suo neo-capo-fondatore con ogni probabilità oggi, nei bollenti giorni di maturità, farebbe molta fatica (e sudore) a superare l’esame in quella materia.
Calpesta il passato 5 Stelle come le foglie d’autunno in una passeggiata sul Pincio. “Abbiamo fatto una politica di odio, che guardava solo al passato”.
Venendo agli ultimi mesi. “Non potevamo far prevalere i nostri contrasti interni su temi delicati come la guerra, rischiavamo di indebolire il Paese”.
E poi l’apoteosi: “E’ necessario aprirsi al confronto e riconoscere che atlantismo e europeismo sono le uniche famiglie possibili. E dobbiamo farlo riconoscendo gli errori del passato”.
Un ribaltone simile, rispetto alle posizioni ‘storiche’ dei 5 Stelle, può essere spiegato solo da uno psichiatra. In grado anche di chiarirci, e soprattutto di far capire al paziente, che coltivare il proprio Ego in modo così smisurato non è proprio normale, fisiologico. Smania di potere, bramosia per lo scranno sempre più importante, poltronismo accecante (anche per l’accolita dei neo proseliti), o che cosa? Appunto, distesi su un lettino ad hoc, può essere più facile decodificarlo.
I NUOVI SCENARI
Ma adesso si apre tutto il nuovo scenario dentro ai 5 Stelle, ormai orfani della star proiettata verso l’empireo del potere ‘Draghi style’.
Impossibile, a questo punto, barcamenarsi per Giuseppe Conte: deve uscire allo scoperto, prendere il toro per le corna e affrontarlo, optando per il NO al governo. A questo governo di guerra e di fame, di bollette sempre più care e disempre più armi all’Ucraina, di lacrime e sangue per una fascia sempre più ampia della popolazione e di privilegi sempre più strenuamente difesi per le Kaste.
Un’Italia sempre più spaccata in due, tra chi ha perso tutto o quasi e chi continua a sollazzarsi proprio sulle spalle degli altri.
Ma gli ultimi drammatici eventi – Covid e guerra – stanno aprendo gli occhi ai cittadini. Questo governo è solo ammazza-diritti e ammazza-salute, e scodinzola solo davanti al padrone americano e alle star di Big Pharma.
Visto che i tempi ‘politici’ ormai corrono in tempo quasi reale, siamo convinti che debba a brevissimo crearsi uno tsunami all’interno del PD, perché si spacchi, e ne esca tutta la parte migliore, quella ancora realmente progressista ‘dentro’, contro l’altra che tutela solo i poteri forti e gli interessi chi già ha tanto, troppo e non paga neanche le tasse.
Altri pezzi (come Leu, articolo 1 e frattaglie varie) potranno a loro volta spaccarsi per raggiungere il nuovo, nascente ‘rassemblement’, che ovviamente manda a quel Paese, con un altrettanto bel Vaffa, i vari Renzi & Calenda di turno, cascami della stravecchia politica: altro che nuovo Centro e la Balena Bianca di nuovo a nuotar felice!
Ma – come abbiamo già sottolineato qualche giorno fa – c’è la grande scommessa da giocare e da vincere. E cioè, aggregare in tempi rapidi tutto quel mondo fatto di associazionismo, volontariato, solidarietà, che per anni e anni ha letteralmente ‘buttato il sangue’ per cambiare le cose dal basso, aiutando gli ultimi, ma non ha mai trovato una sponda, una rappresentanza, una voce politica attraverso cui esprimersi.
E siamo certi che una buona fetta di astensionismo (ricordatelo: siamo al 40 per cento!) può essere recuperata, possa ritrovare una speranza autentica di cambiamento, e non le solite ministre da dover ingurgitare (e quindi ovviamente rifiutare non andando alle urne), perché questo fino ad oggi ha servito il convento.
E’ venuta l’ora per un grande, nuovo Movimento in grado di raccogliere tutto questo malessere, questa voglia di cambiare le cose e di rovesciare l’attuale tavolo politico, che fa schifo.
Un programma politico autentico, fatto di punti concreti e non di bizantinismi: utopie che però possano tradursi rapidamente in realtà, soprattutto riequilibrando le mostruose iniquità sociali, il vero tumore del Paese, oggi.
La stessa guerra, paradossalmente, con tutti i perversi meccanismi che ha messo in modo, può essere l’occasione per voltar pagina, cambiare registro in modo radicale.
E una leadership: riconoscibile, identificabile. Come ha fatto la Colombia eleggendo poche ore fa il suo presidente guerrigliero.
Siamo tanto incapaci, assonnati, cloroformizzati e rincoglioniti, noi, da non riuscire nemmeno a ‘copiare’ dalla Colombia? E dalla cugina Francia?
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