Le ‘verità’ su Mariupol e soprattutto sull’acciaieria Azovstal si moltiplicano. Ma cominciano a non andare più in un’unica direzione, quella del mainstreamoccidentale.
Crescono infatti, man mano, le voci fuori dal coro.
L’ultima trasmissione di ‘Report’ apre il fronte dei dubbi.
Scrive Tony Capuozzo: “Hanno avuto il coraggio del tutto insolito per le grandi televisioni e di più per la Rai, di raccogliere i racconti dei civili di Mariupol. E raccontano di chi li ha usati come scudi e di chi li ha, se non martirizzati, usati e gettati. Non mi ha sorpreso. Perché sono gli stessi racconti raccolti per settimane da due paria dell’informazione, Bianchi e Rangeloni”.
Ed è stato tra i primi, Capuozzo, a porsi forti dubbi sulla vera storia del conflitto in Ucraina, ed in particolare sulla tragedia di Mariupol e della Azovstal, ed a porsi la più che inquietante domanda se non siano stati proprio gli ucraini a usare i loro concittadini come “scudi umani”.
Ma c’è, ancor più, un episodio che arriva dalla Germania ad alimentare i dubbi e a sollevare pesantissimi interrogativi.
Protagonista è il celebre settimanale ‘Der Spiegel’, che si è già segnalato, praticamente all’inizio del conflitto, per una grande inchiesta basata su documenti ufficiali e inediti, in grado di provare come gli Usa, la Francia, la Gran Bretagna e la Germania abbiano tradito gli accordi del 1991, secondo cui i confini della NATO non avrebbero dovuto allungarsi di un solo centimetro ad EST, oltre la linea del fiume Oder: ed invece, dal ‘91 ad oggi, ben 14 nazioni ex sovietiche o sotto l’influenza dell’Urss sono passate direttamente o indirettamente sotto l’ombrello NATO.
Ma torniamo all’ultimo scoop. In qualche modo ‘a metà’. Perché un video firmato ‘Reuters’ è stato mandato in onda sul sito del settimanale, ma dopo qualche ora rimosso per decisione dell’editore.
Il ‘fattaccio’, l’autocensura a posteriori, è stata notata e denunciata da un quotidiano, ‘Junge Welt’.
Ma di cosa si tratta? Qual è il pomo della discordia?
Un’intervista di tre minuti rilasciata da una operaia di Azovstal, Natalia Usmanova, che poi si è rifugiata con il marito ed i figli nell’acciaieria.
Nei brevi minuti, Usmanova racconta ai reporter di ‘Reuters’ che “i militari di Azov ci hanno tenuti nel bunker per due mesi” e non hanno permesso ai suoi familiari di andarsene usando i corridoi umanitari stabiliti dai russi. “Si sono nascosti dietro il fatto che erano preoccupati per la nostra sicurezza”, sono le sue parole, e aggiunge che ricevevano continue intimazioni del tipo “Tornate al bunker”.
Ed ecco le sue ultime parole: “L’Ucraina è morta per me come Stato”.
Nella foto Natalia Usmanova
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