Driiiiiiiin, minaccioso trillo

Nel pieno della notte, lo squillo del telefono mette ansia, in quella notte del 1978 più che giustificata, Una voce femminile, fortemente dialettale,  minacciò guai seri, se  avessi continuano a raccontare su ‘Paese Sera’, che la vedova Moccia, moglie del capoclan ucciso, nota come ‘vedova nera della camorra’, aveva ordinato al figlio Antonio ( non aveva ancora compiuto i 14 anni, e come minore non era imputabile), di uccidere Antonio Giugliano, un ‘nemico del clan rivale’, per vendicare l’omicidio del marito Gennaro Moccia. L’esecuzione fece scalpore. Avvenne nel cortile del tribunale. Anna Mazza fu arrestata per concorso in omicidio e istigazione al reato, ma l’organizzazione camorristica le è sopravvissuta e fa ancora notizia.

Serio colpo alla camorra dei Moccia, 57 misure cautelari, 36 in carcere, 16 ai domiciliari. Per altre cinque divieto temporaneo di esercitare attività di imprenditori. Sequestrati beni e quote societarie per un valore di 150 milioni di euro. L’accusa: reati commessi, in vario modo per agevolare il clan Moccia. Ai domiciliari anche Andrea Guido, consigliere comunale di centrodestra (Fratelli d’Italia) a Lecce, per corruzione, reato commesso quando ricopriva il ruolo di assessore all’ambiente della Giunta comunale. Tra gli arrestati il barese Pasquale Finocchio, anche lui ai domiciliari, accusato di traffico di influenze illecite. Vicepresidente del Consiglio comunale di Bari eletto con il centrodestra (Forza Italia), avrebbe fatto da mediatore tra imprenditori approfittando del suo ruolo politico-istituzionale. Finocchio si dichiara estraneo alle accuse. I reati contestati sono associazione mafiosa, estorsione, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio, fittizia intestazione di beni, corruzione, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, ricettazione, favoreggiamento. Agli imprenditori addebitati i reati di recupero di oli esausti, scarti di macellazione, grandi appalti ferroviari e dell’alta velocità. I Moccia subentrati ai Magliulo, operano ad Afragola, Casoria, Caivano e sono presenti anche nel Lazio.

Il nostro pianeta, è terrorizzato dalla globalità del danno all’economia mondiale provocato dalla guerra in atto. In angoscia per la brutalità di un conflitto con conseguenze disumane su donne, bambini, anziani innocenti, vittime di violenze da tribunale che processi e condanni infiniti crimini contro l’umanità, chiede disperata: “Quando finirà?”. Purtroppo nessuno azzarda pronostici sulla fine di un conflitto anomalo, che avviato dall’aggressione russa all’Ucraina ha finito per coinvolgere mezzo mondo. A un quesito è però possibile rispondere: “Chi vince, chi perde?” Sicuri vincitori sono l’inconsistente Biden. Non gli sembra vero di ribaltare l’immagine di anziano e titubante presidente anti-Trump, di mostrare pugni e ghigno da cattivo, grinta bellicosa (molto apprezzata dal ricchissimo comparto della produzione e dell’export americano di armi).  Il number one Usa la sua guerra l’ha già vinta a spese dell’Europa, protagonista subordinata del contrasto a Putin. Vince Pechino, in astuta assenza di visibilità sul caso Ucraina. La Cina monopolizza, senza colpo ferire, l’esclusiva, a proprio vantaggio, dei rapporti politici, economici, militari, con i ‘compagni’ russi e aggiunge un tassello all’obiettivo di aspirare al ruolo di super gigante della Terra. Tra li sconfitti, tra le vittime sacrificali di questa guerra c’è sicuramente l’Italia. Ancora non completamente fuori del tunnel pandemia ripiombiamo nella voragine della recessione, costretti a mendicare energia anche da fonti politicamente inaffidabili, perfino dal Cairo, che dovremmo iscrivere nel registro degli appestati (prima di tutto per le vicende Regeni e Zaka). Contemporaneamente Biden ci ‘invita’ a sostenere la resistenza eroica degli ucraini, ad accogliere profughi, a fornire armi a Zelenski. Vince perfino la Meloni, In assenza dell’uomo ‘forte’, così ambito dal popolo in momenti di emergenza. ‘Io sono Giorgia’ è vista come la ‘donna forte’ e diventa la capintesta del primo partito italiano, della Repubblica antifascista. Ahinoi

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