Il principio esasperato a giusta ragione, che tutela un fondamento ineludibile della democrazia, consente ai cinque membri permanenti dell’Onu, vincitori della seconda guerra mondiale, di porre il veto alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza. In casi di eccezionale gravità, qual è l’aggressione della Russia ai ‘fratelli’ dell’Ucraina, ha la meglio il potere di bloccarle ed è avvenuto per la risoluzione di condanna della Confederazione russa. La Cina, alleata di ferro di Putin si è astenuta, come l’India e gli analisti (“La Russia è isolata”) giudicano la decisione un escamotage per non tradire il Paese amico, ma contemporaneamente rivela di non condividere l’invasione sanguinosa della seconda nazione europea per dimensione geografica dopo la Russia. La strategia di chi intende condannare Putin prevede il trasferimento della risoluzione all’Assemblea generale della Nazioni Unite, dove la Russia non può esercitare il diritto di veto e bloccarla. Il presidente ucraino Zelensky chiede l’esclusione di Mosca dall’esecutivo Onu: “Uno Stato, che commette crimini di guerra contro i civili, non può essere membro del Consiglio di Sicurezza dell’Onu”. Un significativo elemento di valutazione sul dar farsi per fermare la guerra, che la Russia conduce con piogge di missili e armi pesanti sulla capitale Kiev, lo pone all’attenzione internazionale il governo italiano: convinto che interventi umanitari e di sostegno ai difensori dell’indipendenza ucraina non siano in grado di fronteggiare la potenza militare della Russia, avanza la proposta di inviare in Ucraina forze militari, non solo armi. L’ipotesi paventa un duplice pericolo, e per ora un preoccupato ‘no’ è la risposta dei pacifisti e di chi ritiene che sfocerebbe inevitabilmente in temuta estensione, fino a far esplodere un nuovo conflitto mondiale, questa volta con la prospettiva di un disastro senza precedenti per la presenza negli arsenali dei contendenti di ordigni nucleari e armi chimiche: ‘come usare benzina per spegnere un incendio’. Non c’è altra strada da compiere (e in fretta), della trattativa, compatibilmente con la pretesa di annessione di Putin, che intende scongiurare un pericoloso avamposto della Nato nell’area e il desiderio non sottaciuto, di entrare nell’ampio alveo della UE. Le indiscutibili motivazioni del ‘no’ alla presenza militare di forze occidentali in Ucraina, comportano purtroppo il timore di assistere alla resa di Kiev strapotere bellico della Russia. Ne è conferma la contrapposizione tra l’approccio ancora privo di esiti risolutivi della trattativa tra le due parti, ancorate come sono alle rispettive posizioni, e la furia aggressiva della Russia, che fa strage di civili, costringe centinaia di migliaia di ucraini alla fuga in massa e incrementa il potenziale offensivo con una colonna lunga molti chilometri di mezzi blindati in direzione dell’Ucraina. Inevasa, per ora, la domanda: “È davvero sufficiente fermare Putin con sanzioni finanziarie? (Economisti autorevoli paventano effetti boomerang). È ottimismo infondato sperare nell’ostilità del popolo russo alla dittatura sconsiderata di Putin, nella contestazione dei ricchi oligarchi, punti dal blocco bancario delle loro ricchezze? Di sicuro, c’è l’urgenza di imporre ai venti luttuosi della guerra il potere del confronto, affidato alla tenacia e alla qualità della diplomazia.
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