Un nuovo racconto della connessione Berlusconi-mafia, più volte rivelata da boss siciliani, è un obbligato cedimento professionale alla cronaca nera, ai suoi risvolti giudiziari. Perché antepone la vicenda dell’immarcescibile fondatore di Forza Italia al tema esplosivo della terza ondata del Covid-19, all’incredibile plagio di milioni di italiani che si riconoscono nella kermesse canzonettara di Sanremo. A cui si oppone un convinto ‘niet’, forse in solitudine, ma dignitosa, che dichiara deciso antagonismo a lodi e ‘ip, ip, urrà, al voto 8, nella pagella di Sanremo, attribuito per conformismo populista alla ‘performance’ di un certo Achille Lauro, folcloristico millantatore di esasperata spettacolarità, autore, ieri sera, come raccontano i media, di una seconda reiterata, blasfema rappresentazione festivaliera di Cristo e di duetti con lo showman Fiorello, sempre più guitto con l’approssimarsi dell’andropausa. Il rischio di parlarne, anche se con toni e parole di biasimo, a scapito di eventi ben più sensibili per la collettività, qual è appunto l’impennata primaverile della pandemia, è legittimato da quanto rivelano le confidenze del boss mafioso Graviano sulla natura dell’abbrivio da cui, così racconta la confessione, avrebbe avuto origine la ‘carriera’ imprenditoriale di Berlusconi. Forse è anche una possibile risposta al quesito sulla libido del ‘cavaliere’, abbarbicato al presenzialismo in politica, nonostante l’età da priorità vaccinale e acciacchi di non lieve entità. Restare nel cerchio protettivo del partitismo, ha finora agevolato il suo dribbling ‘scansa condanne’ e la loquacità del boss mafioso è allora un nuovo incentivo a far pesare il pur esiguo consenso popolare di Forza Italia nel complicato congegno del governo all inclusive, che evita un pericolosissimo fallimento del Paese, e perciò potrebbe propendere per glissare su fatti e misfatti dell’uomo di Arcore e dei suoi sudditi, i quali, per non rinunciare a ‘mance’ più o meno attrattive, continuano a intonare in coro “Meno male che Silvio c’è”. Non ne fa parte Giuseppe Graviano, anzi, boss che sconta la condanna all’ergastolo per una serie di brutali omicidi. È
lui che accusa Berlusconi di aver esordito nel mondo imprenditoriale grazie a venti miliardi elargiti dal nonno, da investire in immobili. Uno dei cardini dell’indagine scaturita dalle rivelazioni del mafioso è l’accertamento dei rapporti economici sull’asse Dell’Utri-Berlusconi- Graviano e il sospetto di un coinvolgimento del fondatore di Forza Italia nelle stragi degli anni ‘93/’94. Ghedini, super difensore di Berlusconi nega tutto, con riconosciuto fervore. Le rivelazioni si sommano nel tempo. Un elemento cruciale è certamente il suggerimento di Graviano di scavare a fondo nella Procura siciliana per sapere che fine ha fatto l’agenda di Borsellino e cosa nascondesse di esplosivo sulla natura dei rapporti Stato-mafia. La certezza è che qualcuno ha fatto sparire la denuncia del magistrato assassinato e che andare a fondo, come hanno provato a fare Falcone e Borsellino prima di pagarlo con la vita, non è cosa che riguardi esclusivamente la vicenda Berlusconi. La sopravvivenza del fenomeno mafie, la loro penetrazione capillare, segnalano anche in questo dannato tempo della pandemia l’allarmante trend di pericolose infiltrazioni, che nonostante l’impegno della magistratura, proseguono e anzi, sono in aumento. Le mani della malavita hanno sporcato il fragile sistema della protezione sanitaria con truffe colossali e con cinismo da sciacalli continuano ad appropriarsi di attività commerciali e produttive di tanti operatori in ginocchio per le conseguenze della pandemia.
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