È Trump a fissare il prezzo della pacificazione?

Nell’ambito di intelligenze professionali, di politologi e giornalisti evidentemente informati per sentieri non accessibili al ‘volgo’, si svela, a spizzichi ben centellinati, il background dell’apparente monomania del tycoon licenziato dall’America democratica, che canticchia anche sotto la doccia il ritornello del ‘rap’ “ho vinto io, mi avete rubato i voti”, concluso con il gran finale pirotecnico dei ricorsi legali per ‘smascherare’ i ‘brogli’.

Il cicaleccio, ripreso dagli irriducibili repubblicani contestatori armati, del voto che ha proclamato Biden presidente, ma anche osteggiato dai conservatori moderati, avrebbe un suo retroscena, presumibilmente in chiaro allorché il rancoroso Trump, con una sterzata delle sue, ‘concederà’ a Biden di essere anche il suo presidente. Le indiscrezioni prendono corpo di giorno in giorno e raccontano che lo sgarbo istituzionale dello sconfitto sia un machiavellico grimaldello per condizionare la magistratura americana chiamata a processare le sue magagne finanziarie, prima fra tutte la clamorosa evasione fiscale (ha versato al fisco 750 dollari!!!), denunciata dalla stampa e per concedere in cambio lo stop alla guerra anti Biden. La trattativa: fine delle contestazioni post elettorali e sanatoria plenaria, che  eviti condanne e crac finanziari.

Fosse tutto vero, la corposa agenda del che fare che la coppia Biden-Harris si accinge a sfogliare, aggiungerebbe questa grana, con rilevanti surplus di natura etica all’elenco delle urgenze e cioè,  piano strategico di contrasto alla pandemia da Covid, che includa modelli di tutela sanitaria pubblica verso tutti gli americani; ritorno nell’alveo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità; riparazione del pericoloso vulnus provocato da Trump negandosi agli accordi di Parigi sul clima; lo stop del libero accesso alle armi incoraggiato dal tycoon; segnale concreto di tolleranza e accoglienza della comunità dei neri e di ogni altra componente etnica del popolo americano; azzeramento dell’autarchico “First America”; intolleranza zero per le violenze dell’estremismo di sette e clan razzisti; messa in discussione  del sodalizio di Trump con il ‘figuro’ Netanjau e, se lo augura l’Europa democratica, inedita, auspicata compatibilità delle relazioni bilaterali con l’idea  largamente condivisa, degli Stati Uniti alleati e ‘amici’ dell’Europa.

Non va oltre il 50 percento la democrazia degli States: le orde barbariche aizzate dall’Attila inquilino abusivo per quattro anni della Casa Bianca, armi in pugno, presidiano le piazze delle grandi città da est a ovest degli Usa in risposta all’‘invito del tycoon e del figlio, in generale dei suprematisti, di contestare violentemente la sconfitta.

In campagna elettorale, in pieno delirio di onnipotenza il fu presidente minacciò gli americani di abbandonare il Paese in caso di sconfitta. Ora che il ko c’è stato, si smentirà? Confermerà di essere uno bugiardo sbruffone? Nessun dubbio. A ospitare uno come lui sarebbero in pochi e tutt’altro che buoni. Forse lo accoglierebbero la Turchia di Erdogan, o Nethanjau, forse il gelido l’Alaska, che lo ha votato più di Biden, ma purtroppo per gli americani  non succederà. Chi lo schioda dal golf e dal freee tax?

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