Se i cervelli emigrano c’è un perché

Cina / Stati Uniti / Russia: 4.381,3 milioni / 1.900,0 milioni / 758mila: tanti sono gli uomini e le donne dei tre Paesi impegnati nella ricerca. A decrescere la Germania, poi, sorprendentemente, la Corea del Sud, prima di Inghilterra, e Francia. L’Italia supera a stento Taiwan e la Spagna. Di che meravigliarsi se i ‘titani’ dell’economia mondiale parlano il mandarino, l’inglese americanizzato? Nessuna sorpresa se da top ten della graduatoria degli straricchi svettano gli ‘inventori’ di Microsoft, Facebook, Amazon, Alibaba, se la Cina ha ‘sotterrato’ il Covid e forse taglia per prima il traguardo della gara internazionale per disporre dell’antidoto alla pandemia. Non sorprende neppure scoprire a ripetizione i nomi di ricercatori italiani, che esuli in mezzo mondo nobilitano l’evoluzione della scienza e le fanno compiere stupefacenti voli nel futuro. Non è un caso se molti ‘cervelli’ italiani fanno man bassa delle ‘borse’ messe in palio dal Consiglio Europeo della Ricerca e non lo è il seguito negativo del finanziamento fino a 5milioni dei progetti finanziati, che i vincitori sono costretti spesso a realizzare all’estero, in assenza di situazioni interne adeguate e di prospettive successive di lavoro.  Le cifre parlano chiaro se si legge l’investimento mondiale nella ricerca. Il primato spetta a Israele, con il 4,9% del Prodotto interno lordo, l’Italia è al quattordicesimo posto con l’1,4%, preceduta da Giappone (3,3), Singapore, Taiwan…
Forse è azzardo, deformazione del sistema di giudizio, contraddire il  diffuso credito che attribuisce agli Stati Uniti la patente di ‘democrazia compiuta’, o forse no, per esempio se si estrae dal contesto generale  la risposta di Cina e Usa,  dei due giganti mondiali, al Covid-19. Aggredita da micidiali livelli di virulenza,  l’area della megalopoli di Wuhan ha risposto come nessun altro luogo della Terra alla pandemia e con  gratuita, totale copertura sanitaria di molti milioni di abitanti e ha sconfitto il coronavirus azzerando i contagi. I 15 positivi attuali, sì proprio 15, sono  soggetti entrati in Cina dall’estero. L’America vive la tragedia del Covid  come peggio non si potrebbe, incapace di contenere contagi e vittime.  I numeri: 8,7 milioni di positivi, 225 mila vittime, nelle ultime 24 ore circa 80 mila nuovi casi e, oscena tragedia, clamoroso deficit di assistenza sanitaria gratuita. Chi imputa alla Cina il vulnus di un regime totalitario lo fa cancellando contemporaneamente dalla coscienza l’immagine dell’America razzista, socialmente discriminante per evidenti eccessi di ricchezze e povertà estreme, xenofobica, violenta, pericolosamente aggressiva per il potenziale nucleare che detiene, ostile per incosciente egoismo ai progetti per salvare il pianeta dalla conseguenze del cambiamento climatico.
La ‘Repubblica’ confindustrializzata con il passaggio di proprietà alla Fiat, dunque si può immaginare quanto empatica con la Cina comunista, riserva una pagina alla gara mondiale in corso tra i Paesi per disporre per primi del vaccino anti Covid. Senza disporre di riscontri scientificamente probanti, è perentoria la critica alla somministrazione del vaccino prodotto da grandi aziende di Stato ai soggetti più esposti al rischio di una seconda ondata della pandemia e a una quota consistente di popolazione, si badi, senza riscontrare conseguenze negative, se si escludono rari casi di aumento della temperatura. Domanda: se gli scienziati cinesi temessero, per stare al  sospetto l’articolo, che la somministrazione non rispetti i tempi di sicurezza ed efficacia, sarebbero così sprovveduti da rischiare una figuraccia mondiale?  Di contro, dov’è finita la solita ‘bufala’ di Trump  per mascherare la personale responsabilità  dei duecentomila e più vittime della pandemia incontrollata? Dichiarò che il vaccino made in Usa sarebbe stato disponibile prima del 3 novembre, giorno dell’election day.

Lascia un commento