“Ego te absolvo”, ovvero l’ibrido dei cinque ‘no’.

11 a 7. I sì, scandalosamente pochi: 1 Pd, 1 Leu, 1 gruppo misto, 4 5Stelle = 7. I no, spudoratamente troppi: 5 Lega, 4 Forza Italia, 1 Fratelli d’Italia, 1 Giarrusso, ex 5Stelle, 1 Ricciardi 5 Stelle, 1 Durnwalder Autonomie. Voilà, così la giunta del Senato per le immunità, presieduta da Gasparri, personaggio ai limiti della tragica comicità, ha gettato le basi per la beatificazione del ‘patriota’ Salvini, che in nome dell’orgoglio italico ha sequestrato migranti e personale di bordo in condizioni di estrema emergenza. La combine è avvenuta nello spazio di un organismo contrapposto al dettato universale della “legge uguale per tutti”. La partitocrazia ha tirato fuori dal cappello a cilindro da prestigiatore la soluzione bipartisan per impedire alla giustizia di emettere il verdetto di condanna che formulerebbe per qualunque italiano colpevole di sequestro aggravato di persona. Pd e affini sono a posto con la coscienza si legittimi giustizialisti. Il loro sì al processo di Salvini è coerente con il residuo di ideologia che fingono di rispettare e che sperano convinca gli italiani di sinistra di essere ancora rappresentati. L’appartenenza alla casta, questo c’è dietro le quinte del voto a favore del processo, è altro. È la furba e comoda consapevolezza che Salvini se la cava di nuovo, salvato da transfughi 5Stelle e aggregati, che nella circostanza sono le quinte colonne del fuoco ‘amico’ di Italia Viva, condotto da Renzi alla guida di un bulldozer, strumento di vendetta per l’amarginazione inflitta dal Pd. Non sono gli unici colpi di maglio sferrati malignamente in momenti cruciali dello scontro maggioranza-opposizione. In atre circostanze hanno sfiorato la crisi di governo e se l’esecutivo è ancora in piedi si deve solo alla ribellione dei suoi parlamentari, terrorizzati dal timore fondato di non essere rieletti.  Un’altra furbizia strategica è stata opera di franchi tiratori grillini a conferma della quota di pentastellati nostalgici dell’alleanza gialloverde. Il copione dello psicodramma propone momenti al limite tra la tragedia greca e la comic comedy ed entra in scena il domatore della ‘Bestia: Matteo ha l’occhio umido di pianto, l’aspetto del ‘cornuto e mazziato’, ma contemporaneamente del gladiatore forzuto e sulla scacchiera muove pedine, cavalli, alfieri e torri con manovra avvolgente, preparatoria dello scacco al re. Scrive e dialoga a tu per te con il Presidente Mattarella, metodo sicuro per amplificare il suo elevato pensiero di vittima sacrificale di un complotto teso a farlo diventare politicamente invisibile e in corso di giunta per le immunità pubblica un accorato appello al sentimento di giustizia vera. Ripropone una spudorata menzogna, contestata con prove di fatto dal premier Conte e dai 5Stelle in buona fede. Si chiede, tra una lacrima e l’altra di autocompassione: “Come è possibile processarmi per una vicenda in cui il presidente del Consiglio era perfettamente al corrente di tutto? In cui è chiaro che lui avrebbe potuto intervenire in qualsiasi momento. Io ho difeso la sovranità, la sicurezza, l’onore e la dignità italiane. E rifarei tutto quanto”. L’ex ministro dell’Interno sussurra sconsolato di sentirsi isolato, anche nel centrodestra. E come? Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno votato contro l’autorizzazione a procedere, oggi votano a favore dell’immunità per salvarlo, altre ciambelle di salvataggio sono arrivate da Renzi (i suoi non hanno partecipano al voto) e da grillini dissidenti e si sente solo? Il ‘delitto’ si perfezionerà in aula, a palazzo Madama, in assenza di nuovi, eclatanti colpi di scena. Si capisce l’attenzione pressocché esclusiva dei media per la pandemia, ma possibile che nei giorni precedenti alla riunione della giunta per le immunità Zingaretti o chi per lui del Pd, non abbiamo trovato chiesto ottenuto di ricordare la vicenda della Open Arms. Bocche cucite anche delle Sardine, zitte da mesi di clausura.

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