La tolleranza, virtù della democrazia perfetta, si confronta fin che può con l’intolleranza anti democratica della destra, ma ha anche il dovere etico di porre limiti alla pazienza, se c’è chi azzarda a oltrepassarli. Il mondo, tutto o quasi il mondo degli umani, si sveglia dopo decenni di incoscienza, coniugata al dispotismo di potentati assorbiti totalmente dall’accumulazione di ricchezze realizzate deviando il corso della vita sulla Terra, fino a mettere in pericolo la stessa sopravvivenza nell’infinito dell’universo.
Osservato dall’alto il nostro pianeta mostra segni inequivocabili di patologie vicine all’irreversibilità. Sui cinque continenti grava una cappa di veleni emessi dal capillare polo di industrie inquinanti, da miliardi di marmitte che emettono CO2 e altri veleni. I mari rivelano la presenza di arcipelaghi non visibili sulle carte nautiche, isole di plastica grandi quanto aree geografiche terrestri occupate da Paesi di media dimensione, e ancora, mega serbatoi glaciali artici che si dissolvono al sole con impressionante e pericolosa sequenzialità; intere porzioni dell’Africa subiscono la tragedia della siccità, che fa strage di uomini, donne, bambini.
Il background di questa apocalisse, che ghigliottina brutalmente il futuro dell’umanità, non è un improvviso castigo di Dio per le nefandezze delle sue creature e neppure un evento imperscrutabile, né il dispetto vendicativo dell’astro che ci illumina e ci invia calore. Quanto accade è l’esito dell’inerzia catatonica, dell’egoismo di pochi, rispetto ai miliardi di ospiti della Terra, di violenze impunite, mai prese operativamente in considerazione dalla casta di chi ha governato il mondo, con l’unica e cinica, religione del profitto. È un’impresa titanica scuotere l’abulia granitica della politica non generata da mera indifferenza dei governi, in particolare di quelli che incombono sull’umanità con mega monopoli finanziari, in complicità con la genia di inquinatori. Gli allarmi della scienza, si sono rivelati scarsamente efficaci e di prepotente contrasto il negazionismo, non a caso propagato dai giganti dell’economia mondiale e dai media con loro solidali.
La scintilla della rivolta non poteva che fiorire dal seme delle vittime presenti e future dei cambiamenti climatici. Il giovane virgulto è venuto su dalla terra per caso nella Svezia, così vicina agli iceberg che s’immergono privi di consistenza nei mari artici. Il piccolo fiore si chiama Greta, germe di sconfinata contagiosità, che ha originato la rivoluzione verde di ieri. Pieni di energia i cortei, di creatività combattiva, di determinazione a non fermare l’onda ambientalista, a non desistere, fino a quando l’orgia gratuita di solidarietà della politica muterà in decisioni concrete, rapide, risolutrici. Dei mille cartelli, striscioni, slogan gridati dai megafoni, è da premiare quello con la scritta “Ci avete rotto i polmoni”. È obbligatorio esaltare un’immagine da premio Pulitzer: nella memoria di ciascuno di noi è scolpita la foto di Greta, accucciata in terra con il suo cartello di protesta contro il governo svedese. Non la conosce quasi certamente Potito, dodici anni, che a Stornarella, nel foggiano, ha disegnato il suo no agli attentatori del pianeta mondo. Una mano regge un dolce ricoperto di plastica. La scritta: “Siamo figli di questa Terra e con il nostro comportamento la stiamo avvelenando”. Anche Potito se ne accovacciato, da solo, con al fianco il cartello. La sua potente solitudine è la migliore risposta all’indecenza di chi denigra, ovviamente da destra e non solo la rivoluzione verde. Da sinistra (ma da quale sinistra?) il filosofo e politologo Cacciari ammonisce i ragazzi. “Andate a scuola invece che in piazza”. Il peggio è nei titoli di prima pagina dei quotidiani leghisti e di destra. Il Giornale: Ma quanto inquinano questi gretini. Libero: La grande truffa del clima. La Verità: Hanno usato migliaia (migliaia? milioni, ndr) per giustificare spese verdi. Il Tempo: Quanti avvoltoi sui ragazzi di Greta. Greta, Potito, la marea di ragazzi in marcia per salvare la Terra, si riconoscono anche nella ragazzina dodicenne Ralyn Satidtanasar, che a Bangkok si può incontrare mentre gira in bicicletta e raccoglie plastica e rifiuti finiti in acqua. Per questo è nota come Greta thai e come la ragazza svedese, per sensibilizzare il suo governo sui temi dell’ambiente sacrifica giornate di scuola. Si presenta così: “Sono una bambina in guerra”. In guerra contro i negazionisti (Trump è il più cinico) e chi oscura il futuro del pianeta.
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