Un’odiosa espressione, ‘calcio mercato’, racconta della compravendita di giocatori e anche se non esplicitamente ingloba gli atti di rapina che le società finanziariamente meglio attrezzate compiono specialmente in Africa inducendo famiglie quasi sempre povere a firmare vincoli che legano giovanissimi figli, talenti in erba del calcio a club italiani. Questo riprovevole corollario di sconcezze suscita diffusa ostilità per l’oggetto della ‘merce’ in gioco: persone e poco è più che bambini trattati da scaltri agenti-manager come cose.
Per estensione ripugnano anche la campagna acquisti dei partiti. Il punto di partenza, per la maggior parte di chi costruisce il proprio futuro di mestieranti della politica è la scalata a ruoli di potere all’interno dei partiti, per ghermire un posto nelle liste elettori, in posizione favorevole all’elezione a deputato o senatore (a onorevole, come amano essere definiti, abusivamente i parlamentari) che assicura privilegi di ogni tipo, soprattutto materiali. In altre parole, il sistema politico italiano, se sottoposto a giudizio parallelo, rivela indecorose analogie con l’esecrabile mercato del calcio. Per fugare ogni dubbio sulla legittimità del confronto, calza a pennello la citazione di una delle legislature record per cambi di casacca, salti della quaglia, ripudi del partito con cui si è eletti e approdi ad altri, secondo il placet istituzionale consentito dalla Costituzione. Il caso limite racconta che al culmine dell’instabilità, l’operazione transfughi in poco più di quattro anni ha coinvolto 313 cambi di gruppo, operati da 207 deputati, imitati a Palazzo Madama da 253 variazioni di gruppo di 140 senatori. Lo hanno potuto fare nel rispetto fatto dell’articolo 67 della Costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Nel libro dei primati a caratteri cubitali c’è il senatore Luigi Compagna, che fra passaggi ad altri gruppi e ritorni alla casacca originale ne ha collezionati nove.
Nella stagione politica in corso ci sono i prodromi di una competizione con i clamorosi precedenti appena descritti. La stura allo sconvolgimento dell’assetto originario della legislatura si deve a Matteo Renzi, con la scissione dal Pd e il passaggio al gruppo misto di una cinquantina tra deputati e senatori confluiti nel partito dell’ex premier sotto la bandiera di “Italia Viva”, che sembra dover attrarre altri dem scontenti, ma non solo. Si ventila che potrebbero essere attratti dal canto della sirena renziana anche gli scontenti della svolta che ha riportato nell’alveo del Pd Bersani, D’Alema e compagni, anche le anime della moderazione democristiana accolte in molti anni dal Nazareno, alcuni dissidenti del Movimento 5Stelle, pezzi consistenti della squinternata Forza Italia. Fresca, fresca, è l’abiura della grillina Silvia Vono che da pentastellata diventa ‘italiavivista’, alla corte di Renzi e declama: “La mia è una decisione importante, difficile e sofferta ma improcrastinabile, che però mi dà finalmente la possibilità di ragionare in termini democratici. Matteo Renzi ha dimostrato coraggio, lungimiranza e determinazione. Se ha sbagliato qualcosa nel suo percorso precedente, ne ha fatto tesoro, sapendo farsi da parte, rispettando l’impegno preso con gli italiani. Ha continuato a lavorare con intelligenza e in piena libertà e onestà intellettuale, ha scelto di esporsi coraggiosamente, un’altra volta, per l’Italia, con senso del dovere per il Paese e per il bene comune, onestà intellettuale e rispetto verso i cittadini, con coraggio e responsabilità anche quando tutto il sistema consiglierebbe, proprio perché sistema, di agire in modo diverso”. Che pensiero elegiaco: conferma quanto sia stimolante accasarsi laddove esiste lo spazio per acquisire ruoli gratificanti. Il casus della senatrice grillina potrebbe non rimanere isolato. La fronda dei settanta pentastellati che contestano la leadership solitaria del capo Di Maio, prospetta esiti scissionisti imprevedibili. Si adoperano in questa direzione personaggi come Paragone e Di Battista e trombati dalla fusione di governo giallorossa, come Toninelli, Lezzi. Non è da meno l’ipotesi che se avanzerà sul viale del tramonto il leghismo di Salvini, privato del potere, ex elettori per proprio tornaconto del Carroccio ripudieranno il valpadaismo di Pontida. Per chi è da vedere. Anche il Pd fa campagna acquisti e di rilievo è l’accasamento di Laura Boldrini, ex fondatrice di Leu. “Non è più tempo di partitini” ha dichiarato giurando fedeltà a Zingaretti, ma confessando che le mini scissioni sono l’anticamera del nulla in termini di potere. Altra considerazione merita l’iniziativa della Carfagna che ha radunato attorno alla buona cucina cinquanta parlamentari di Forza Italia per sondare i loro umori sull’oramai improponibile leadership di un destrutturato Berlusconi, già ripudiato da Toti. La conferma: a un successivo raduno di forzisti il cavaliere non ha invitato la Carfagna. Et voilà, anche tutto questo fa della politica made in Italy il circo delle meraviglie.
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