Senza l’idiozia politica di Salvini, che ha recuperato per se stesso il ricorso della Francia rivoluzionaria alla ghigliottina, al fine di liberarsi di criminali e nemici politici, l’Italia, per non affogare nella mefitica melma del pantano gialloverde, sarebbe ancora impegnata a starne fuori, almeno con la testa; M5s e Pd, avrebbero alimentato con nuove accuse e insulti, la storica, reciproca avversione, plasticamente raffigurata da frecce avvelenate, rimbalzi di insulti, dichiarazioni di incompatibilità, “mai con il Pd”, “mai con i 5Stelle”. Senza il colpo di genio estivo del cosiddetto ‘capitano’, l’Italia orfana della sinistra, avrebbe subito, quasi passivamente, il sovranismo razzista, secessionista, dell’asse Lega, Fratelli d’Italia, di alcuni italoforzisti stufi di berlusconismo. Senza il cruento, surreale, allucinante masochismo, del capo del governo gialloverde, alias il ‘truce’ Salvini, l’ipotesi non inverosimile, da vomito, di un monocolore Leghista, avrebbe fatto sprofondare il Paese nel baratro dell’oscurantismo economico, sociale, politico, anti europeista, razzista.
Di autorevoli personalità i molti ‘like’ al tentativo di accantonare vecchi rancori e diversità ideologiche, con l’obiettivo primario di abbattere il moloc Salvini. Il più recente ‘mi piace’ al sodalizio 5Stelle-Pd ha la prestigiosa firma di Aldo Masullo, filosofo dell’Italia dei saggi. A malincuore, conoscendolo, ha prestato la sua voce al coro di sì all’impura alleanza 5Stelle-Pd, ma con la formula auto assolutoria del “male minore”, imposto dalla paura di consegnare l’Italia alla sciagura di “tutti i poteri a uno solo, a Salvini”. Insomma ha vinto l’intento di respingere l’azzardo delle urne, filo conduttore dell’inaspettata unanimità della direzione Pd per Zingaretti, che ha glissato sulla strategia autonomista di Renzi, sul consolidato dissenso dell’ala sinistra del partito e sulle bizzea scissioniste di Calenda.
Inutile tergiversare, aggrovigliarsi nella disamina di labili convergenze tra grillini e dem o di sostanziali diversità. Alla fine del laborioso iter per l’iscrizione nel registro nascite del governo giallorosso, Conte, sensale del matrimonio firmerà con il sì al Quirinale il ruolo accettato di mediatore. Alcuni sbarramenti saranno demoliti, altri rinviati a tempi migliori, per non compromettere in partenza la pax operandi di chi firma il programma di governo.
Il pericolo è dietro l’angolo. Sono in antitesi le valutazioni sul Tav: sì i dem, no i grillini. Taglio dei parlamentari: sì di 5Stelle, no per tre volte del PD nello scorcio della legislatura appena conclusa. Discontinuità (Zingaretti), prosecuzione del già fatto (Di Maio). Eccetera.
Ma poi. L’empito protagonista di Renzi, sostanziato dal personale successo nell’operazione governo giallorosso, accenderà la sua ambizione a tornare titolare al vertice di un ennesimo centrosinistra e con quali ripercussioni sull’alleanza che ha estromesso Salvini dallo scenario istituzionale del Paese?
L’addio di Calenda al Pd e quello annunciato di Paragone ai pentastellati, non sono l’unico sintomo di turbolenza che agita i due partiti. La sinistra del Pd ha temporaneamente rinfoderato la spada, ma non l’ha deposta. In casa 5Stelle, Taverna a parte, non pochi mugugnano e il loro sì all’esecutivo giallorosso in Senato non sembra scontato.
“Siamo un monoblocco compatto” dice qualunque grillino intervistato, a prescindere dall’oggetto della domanda, ma è monolitico il Movimento che condivide l’empatia di Fico e Spadafora per il Pd, e include i loro colleghi che continuano a flirtare con i leghisti?
Se il Pd dovesse avvantaggiarsi elettoralmente a scapito del Movimento. com’è accaduto con la sudditanza alla Lega, Grillo ‘ordinerebbe’ di staccare la spina? Darebbe così ragione a Salvini, che nell’accomiatarsi dagli uomini dl Viminale li ha salutati con un amorevole “questo non è un addio?”’
Ieri il titolo in prima, a piena pagina di Republica, certamente su indicazione del direttore Verdelli, incitava Conte a un passo dall’investitura di Mattarella così: “Coraggio Conte, sarà dura”. Profezia in perfetta sintonia con il rivelarsi dei primi ostacoli all’accordo su programma e organigramma dell’esecutivo.
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