Vuol mostrare i muscoletti, Luigi Di Maio, nella trattativa che parte. Gonfia il petto e fa vedere i galloni, presentandosi ai giornalisti dopo l’ultimo incontro con il premier incaricato Giuseppe Conte.
Per fargli intendere che il Capo è uno solo, cioè lui? Che Conte è l’ultimo arrivato e quindi deve stare in riga? Per mettere all’angolo, al tempo stesso, il Pd? Per far ingoiare una sfilza di rospi a Nicola Zingaretti a ai suoi? Un messaggio lanciato nella bottiglia al sempre amato e forse già rimpianto Matteo Salvini?
A questo punto Beppe Grillo, che è già entrato un paio di volte in campo, farebbe bene a rifilare un ceffoncello all’alunno di Pomigliano d’Arco, il quale, come un bambolotto, ogni tanto perde la carica e va in tilt.
Come si spiega l’endorsement a ‘O Sceriffo Salvini e alle sue politiche sull’immigrazione? Come capire fino in fondo la difesa a spada tratta dei due decreti sicurezza, al massino da limare nei due punti più volte ricordati dal capo dello Stato Sergio Mattarella? In che modo non leggere come un vero e proprio guanto di sfida l’arroccamento sui 10 punti imprescindibili, il decalogo sventolato dall’ex steward allo stadio San Paolo? La minaccia di immediate elezioni se il Pd non si stende a tappetino?
Va bene. Rivendicare le origini del movimento grillino ci sta, così come sottolineare le originalità messe in campo, che peraltro vanno man mano scolorandosi.
Ma voler dialogare quasi in soliloquio, in modo perfettamente autoreferenziale, poco ci sta.
A palesare il (forse solo momentaneo) cambio di rotta, le parole del solito Danilo Toninelli che capisce poco o niente di infrastrutture, e assai poco di accordi politici. Esulta davanti alle parole del suo segretario che semina paletti e sospetti, perché sa bene che in un esecutivo degno di questo nome uno spazio se lo sogna.
Abbiamo scritto nei giorni scorsi, “Saranno all’altezza del compito Di Maio e Zingaretti?”. Zingaretti, a quanto pare, il suo compitino lo sta svolgendo, sotto tutela della direzione che gli ha dato libertà di “trattare” ma lo tiene a bada come un sorvegliato speciale.
Di Maio non sembra ancora entrato in partita (torniamo all’amato San Paolo), ha cominciato con un paio di passaggi sbagliati e palla in tribuna.
Bene, dicevamo di Grillo: alzi la guardia e gli allenti il guinzaglio. Perché rappresenta l’anima autentica dei 5 Stelle, che in questi anni non sono stati in grado di far maturare un vero gruppo dirigente.
Sarà in grado, appunto, Di Maio di vestire i panni dello statista per questi prossimi 4 o 5 giorni bollenti?
Possibile una full immersion in grado di farne uscire un vero leader, o almeno mezzo?
Capace di condurre la trattativa per la definizione di un programma comune che significhi davvero una svolta?
Di elaborare un organigramma che non sia fatto di ministre riscaldate ma di intelligenze e braccia capaci di remare per i cittadini e non per interessi personali o di fazione?
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