La mattina del 29 luglio 1983 i palermitani cominciarono la loro giornata con la solita carica di ottimismo, con cui affrontano le difficoltà della vita, mai immaginando che alle 8 e 35 di quella caldissima giornata sarebbe accaduto in via Pipitone un fatto sconvolgente.
Il Procuratore Capo della Repubblica di Palermo Rocco Chinnici venne dilaniato dall’esplosione dell’auto bomba imbottita di tritolo e la stessa orrenda fine fecero i due agenti della scorta e il portiere dello stabile, dove abitava il magistrato. Una esplosione assordante e una fiammata accecante, simile a una eruzione vulcanica, straziarono i loro corpi. Saltarono in aria altre auto e il palazzo subì gravi lesioni.
Dietro l’autobomba, che aprì la stagione delle stragi mafiose al tritolo creando la duratura immagine di Palermo come Beirut, c’erano un patto scellerato tra mafia militare e potere politico-economico e anche una giustizia “sonnolenta”.
Quando divenne Procuratore di Palermo ideò il pool antimafia nel quale chiamò Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e istruì il primo maxiprocesso alla mafia che terminò dopo la sua morte con pesanti condanne a centinaia di mafiosi.
Aveva rivoluzionato il metodo investigativo, scardinato le casseforti delle banche, per mettere il naso sui patrimoni sospetti. Stava per chiudere il cerchio attorno ai mandanti e agli esecutori dei delitti di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, per i quali pensava ci fosse un’unica regia.
E la mafia lo fermò.
Lo voglio ricordare con le parole che pronunciò un giorno nell’aula magna di un liceo di Palermo:
“Sono i giovani che dovranno prendere domani in pugno le sorti della società, ed è quindi giusto che abbiano le idee chiare. Quando io parlo ai giovani della necessità di lottare contro lo spaccio della droga, praticamente indico uno dei mezzi più potenti per combattere la mafia. In questo tempo storico infatti il mercato della droga costituisce senza dubbio lo strumento di potere e di guadagno più importante. Siamo in presenza di una immane ricchezza criminale che è rivolta soprattutto contro i giovani, contro la vita, la coscienza, la salute dei giovani. Il rifiuto della droga costituisce l’arma più potente dei giovani contro la mafia”.
Un tema di drammatica attualità.
Ma ieri nessun magistrato, nessun ministro, nessun parlamentare, nessun giornale, nessun TG e nemmeno i presidenti del Parlamento, del CSM, della Corte Costituzionale e della Repubblica si sono ricordati del 36° anniversario della strage di via Pipitone contrariamente alle solenni celebrazioni degli anniversari delle stragi di Capaci e di via D’Amelio per ricordare la morte di Falcone, della Morvillo, di Borsellino e degli agenti delle loro scorte.
Questo è il paese nel quale c’è chi diventi mito e chi no.
Gerardo Mazziotti, premio internazionale di giornalismo civile
Nella foto Rocco Chinnici
Scopri di più da La voce Delle Voci
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.