Forti preoccupazioni in Basilicata per il “Centro di Trisaia”, un sito dove sono ancora presenti ingenti quantitativi di scorie nucleari.
L’altro bubbone del nostro Paese si trova a Saluggia, in Piemonte.
E’ l’annosa, estenuante vicenda delle scorie radioattive, dell’operazione di “decommissioning” delle ex centrali nucleari.
Una versa farsa di Stato, che però riguarda la salute dei cittadini e le palate miliardarie fino ad oggi spese per il mantenimento e la gestione di quel che resta delle centrali.
Anche in quella del Garigliano, i lavori procedono a ritmo di lumaca. L’anno scorso è stata ridotta l’altezza della torre principale. Poi non si sono più avute notizie.
E nel bel mezzo c’è l’ennesimo bubbone mai risolto. Quello che concerne l’individuazione dell’area dove realizzare il Deposito Nazionale delle scorie, un’altra storia che si trascina da oltre un decennio. Fino ad oggi non è stata trovata, per via delle opposizioni di volta in volta da parte delle singole Regioni.
Intanto, il carrozzone di Stato che sovrintende a tutto il pateracchio – sia sotto il profilo della gestione che della presunta individuazione dell’area e di seguito realizzazione del Deposito – vale a dire la Sogin, continua a macinare miliardi e miliardi, una autentica macchina mangiasoldi.
Le ultime cifre e dati emergono da uno “Schema di risoluzione” (sic) presentato alla Commissione industria del Senato, relatore il 5 Stelle Gianni Girotto, che presiede la stessa commissione.
Dalla relazione emerge con chiarezza che nonostante i quasi 4 miliardi spesi complessivamente dalla Sogin tra il 2001 e il 2008, “ben poco è stato fatto nelle due situazioni più critiche del nostro Paese”, cioè Trisaia e Saluggia. “I ritardi accumulati in questi ambiti – viene evidenziato – sono assolutamente inaccettabili”.
Ecco cosa descrive un sito lucano: “Due i nodi principali. Il primo è la mancata solidificazione del ‘prodotto finito’, i liquidi radioattivi zeppi di uranio, torio e altri materiali micidiali, estratti negli anni ’70 in Basilicata, all’ITREC, da 20 a 84 barre di combustibile irraggiato nel reattore Usa di Elk River. Per la comunità scientifica internazionale è un azzardo tenere quelle sostanze così, e infatti la Sogin doveva cementarle. Il relativo impianto doveva essere già bello e pronto ma, per una serie di intoppi, se ne riparlerà nel 2025”.
Addirittura fra sei anni, se tutto va bene. Una bomba ad orologeria piantata nel territorio e nessuno se ne frega!
Prosegue la ricostruzione. “L’altro ‘nodo’ lucano è proprio quello delle 64 barre di combustibile residue. Sono naufragati i tentativi di convincere gli Usa a riprendersele. Oggi la Commissione spiega che siccome sono pericolosissime e ‘in Italia non è attualmente presente una tecnologia in grado di ritrattare il materiale fissile uranio/torio’ di cui sono composte, bisogna riprendere l’iniziativa diplomatica con un’azione ‘decisa e concertata’ per ‘spuntare un accordo con gli Stati che si rendano disponibili allo smaltimento’”.
“Il documento del presidente Girotto impegna il Governo a ‘verificare prioritariamente la fattibilità di accordi bilaterali’ con Paesi Ue ed extra-Ue per smaltire all’estero il materiale più pericoloso”.
Infine sul Deposito Nazionale. “La bozza di risoluzione rimarca come ‘la stima dei costi per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi in Italia ha raggiunto i 7,2 miliardi di euro, ovvero 400 milioni in più rispetto ai 6,8 miliardi precedenti. Dal 2001 al 2018 il programma di smantellamento è stato realizzato per circa un terzo delle attività, ad un costo di 3,8 miliardi di euro, pari a poco più del 50 per cento del budget. Vanno aggiunti inoltre gli 1,5 miliardi previsti per la realizzazione del Deposito nazionale e il costo di esercizio annuale ancora non stimato”.
Infine, “la Commissione Girotto impegna il Governo ad assicurare con cadenza periodica la redazione, da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, di un rapporto sullo ‘Stato di salute della popolazione residente nei Comuni già sede di impianti nucleari’ e ad adeguarsi alle direttive Euratom che ancora languono, del tutto inapplicate. E si chiede di garantire più trasparenza. La stessa che si vorrebbe dal ministero della Difesa sul patrimonio radiotossico militare”.
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