Fidanzati affetti da incompatibilità, ma saldamente uniti dal comune intento di sancire con il matrimonio l’assemblaggio delle rispettive doti, per far confluire l’usufrutto della somma di due ricchezze in un unico patrimonio. E’ la storia di lui e lei, in questo caso di lui e lui perché il riferimento è all’“Incompiuto” Di Maio e al “Ce l’aveva duro”. Sfiorano la rissa a pugni e calci, a conclusione di un litigare a volte finto, messo in scena per il pubblico dei rispettivi fan e molto più spesso autentico, per non soccombere al protagonismo dell’alleato-rivale. Purtroppo per la democrazia sotto attacco, nella scazzottatura quotidiana ha la meglio il valpadano del Carroccio, eletto dagli italiani suggestionati dall’ingannevole mito del “Ci vuole un uomo forte, di polso, decisionista”. Di Maio e associati provano a competere con pari furore, ma soccombono. E’ successo con il clamoroso getto della spugna per la sconfitta della Trans Adriatic Pipeline (Tap) che li ha sputtanati. Potrebbe succedere con il Treno ad alta Velocità (Tav), con il sì leghista per gli inceneritori e il no dei grullini. È successo in tema di migranti, con lo stop alle prescrizioni dopo il primo grado, eccetera. A tendere l’elastico, con l’obiettivo di spezzarlo, è il reparto d’assalto della Lega, galvanizzato dalla progressiva crescita di consensi, confermata dai sondaggi. Non a caso le voci di dentro, per il momento in sordina, suggeriscono di mettere il timbro “scaduto” sul contratto di governo. Non è fortuito il riaffacciarsi di Di Battista con un’intervista via skipe nella fase poco convincente della leadership di Di Maio. Non sono insignificanti le contestazioni delle defaillance dell’esecutivo di governo inanellate da ministri frinfrillacchi (Toninelli, Lezzi, Bonafede). E’ pericolosamente in crescita il mal di pancia per le contestazioni interne dei ribelli anti decreto sicurezza, contrari alla spartizione di incarichi rilevanti e di una fetta in crescendo della base.
L’Espresso, in edicola oggi domenica 18 novembre, pubblica il glossario delle volgarità che infiorano il turpiloquio della politica in vertiginoso degrado etico. Citiamo di seguito le più sconce, che pronunciate a vari intervalli, escono dalla memoria, messe in disparte dalle nuove che sopraggiungono con crescente spregiudicatezza.
Merita la pole position il “puttane” di Di Battista affibbiato ai giornalisti. Dal Sudamerica, dove ha vissuto un anno sabatico, interviene sul caso Raggi, la sindaca di Roma processata e assolta da una sentenza caritatevole del tribunale per fatti che sussistono, ma di cui la poverina – così racconta il magistrato – non era a conoscenza, la sindaca contestata per inefficienza e incapacità.
Di Battista: “Giornalisti puttane”. Il secondo epiteto dispregiativo è “pennivendoli”. Alessandro elogia il padre Vittorio, tenacemente fascista, prossimo a essere indagato per offese a Matterella e si autodefinisce puttano, dal momento che lavora lui stesso come giornalista per il “Fatto Quotidiano” giornale quasi ufficialmente organo dei 5Stelle. Di Maio, si associa (caso Raggi) “…quelli che si autodefiniscono giornalisti, ma che sono infimi sciacalli, corrotti intellettualmente. Anche Di Maio è giornalista pubblicista. Autogol anche di Grillo. Chiama gli italiani analfabeti (“il 45% non capisce quello che gli si dice”). Sono quelli che non hanno capito perché hanno votato per il Movimento? Di Maio: “Assassini” (ce l’aveva con Piero De Luca, il figlio del governatore della Campania). Toninelli propone di punire i “facinorosi”, cioè i migranti salvati dalla nave Diciotti. Di Battista ai dem, accusati di aver abolito l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori: “Ma andate a fanculo”. Paragone, giornalista ex Rai: “Nel giornalismo ci sono tante Puttane”. Non lo dice, ma sottintende “escluso me”). Ingiurie da trivio della Taverna, senatrice pentastellata. In parlamento: “Merde, schifosi, siete delle merde, dovete morire.
Il bestiario pubblicato dall’Espresso, alle pagine 19-23, è ricco di insulti e affini utili a capire il lato scurrile del governo gialloverde. Da non perdere.
Sono numerose le immagini di Salvini con indosso la divisa di poliziotto. Impegnato in selfie così conciato, il ministro dell’Interno ha dimenticato di far corrispondere agli agenti della Polizia Ferroviaria le indennità di scorta per servizi a lungo percorso, che coprono le spese di vitto e alloggio. Straordinario esempio di ambigua contraddizione.
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