PARMALAT / SE DALLE TRUFFE POSSONO NASCERE I PROFITTI

Tanzi amari, tredici anni fa, per le migliaia e migliaia di risparmiatori che avevano investito nel titolo Parmalat controllato dalla famiglia di Collecchio che faceva capo a Callisto Tanzi, ottimo amico di Ciriaco De Mita e al vertice di una vero e proprio arcipelago societario.

Non si sa quato i poveri truffati siano riusciti a ruperare del solito maxi scippo organizzato con le banche compiacenti e gli arciompiacenti poteri di controllo: dalla Banca d’Italia, che allora chiuse occhi, bocca e orecchie, alla Consob che aveva assistito senza muovere ciglio di fronte a tutta la sceneggiata, fino alla stessa magistratura che – al solito – se fosse interventa un attimo prima non sarebbe stato male.

Leggiamo da Repubbica Economia una notiza: “Il Venezuela salva i conti Parmalat ma futuro in calo”.

Sobbalziamo sulla sedia. Che che c’entra il Venezuela con Parmalat? Come dire il cavolo a merenda? E poi: quale senso ha la sibilina frase: “ma futuro in calo”.

Riportiamo la notizia nella sua interezza per capirla e apprezzarla meglio: “il gruppo Parmalat ha chiuso il semestre con un utile di 39,3 miloni di euro, in aumento di di 9,3 milioni di euro rispetto al primo semestre 2017. Il dato è legato al ‘minor contributo negativo del Venezuela e a minori imposte in applicazione del Patet Box in Italia, che hanno compensato il peggioramento della gestione opertiva”.

Continua il report di Repubblica: 

“il fatturato netto è stato di 3 mila miliardi di euro, in calo di circa il 7,3 per cento rispetto al primo semestre 2017. Il margine operativo lordo si è attestato a 146,6 milioni, in calo di 378,5 milioni (meno 20,8 per cento) rispetto al primo semestre 2017”.

Così commentano i padroni del vapore, ormai i transalpini di casa Lactalis. “Gli inattesi e recenti rialzi del costo della materia prima – viene spiegato – e le forti tensioni commerciali legate ai necessari adeguatameti dei prezzi di vendita da parte delle aziende produtrici inducono a previsioni in flessione”.

Facciamo un salto indietro di 14 anni. Siamo nella primavera del 2004 e la Voce scopre, in base a precisi rapporti investigativi, che il vero tesoro griffato Parmalat e gestito dalla famiglia Tanzi aveva preso ben altre rotte. Due in particolare: il Nicaragua e il Venezuela. 

Il primo, in particolare, viene descritto come la seconda patria di mister Tanzi, con un amico di tutto rispetto, il principale banchiere del Nicaragua, Carlo Pellas, al vertice del maggiore istituto di credito, il Banco di Credit Central, per i fans BAC. 

Roberto Calvi. Sopra, Calisto Tanzi

Tanto per non dimenticare due esempi: il super banchiere Roberto Calvi, di casa in Nicaragua dove apriva e chiudeva conti correnti come bere un bicchier d’acqua; lo stesso ex ambasciatore del Nicaragua in Vaticano, Alvaro Robledo, una vera potenza, un piccolo Berlusconi in salsa locale, avendo fondato nel suo paese “Arriba Nicaragu” (una locale “Forza Nicaragua”). 

Rivela un operatore finanziario che conosce da anni quei mercati sudamericani. “E’ ancora tutta da scoprire la vera storia di Parmalat  in Centro Sud America, visto che il grosso degli affari e degli investimenti molto opachi con i danari dei risparmiatori truffati è avvenuto proprio a quelle latitudini, con la evidente compiacenza delle autorità istituzionali, bancarie e industriali che vedevano di ottimo occhio l’arrivo di grandi liquidità da reinvestire nei loro Paesi”.

Prosegue: “Il Nicaragua è stata la prima testa di ponte, poi è seguito il Venezuela, che improvvisamente rimbalza in questi giorni sui media”

E si chiede. “Come mai le magistrature e le autorità internazionali competenti non hanno mai dato un occhio su quegli investimenti e su quelle circolazioni di danaro che più sospette non si può? Su quegli investimenit che definire più opachi non si può?”.

 


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