C’era una volta la Villa Comunale di Napoli, uno dei beni ambientali più antichi e preziosi della città, vis a vis con lo splendido lungomare di via Caracciolo.
Ora è una discarica a cielo aperto. Una ricettacolo di ladri, scippatori, violentatori, drogati e chi più ne ha più ne metta. “Non ci metto più piede dalla 17 in poi – racconta una abitante della zona che era abituata a portare il suo cagnolino per una passeggiata – è diventato un far west, se torni a casa come sei uscito è un miracolo. E pensare che questa è una delle rarissime aree verdi di Napoli”.
Di un’altra, rimessa in sesto una ventina d’anni fa, il Parco dei Camaldoli, abbiamo scritto qualche giorno fa. Anchè lì degrado al massimo livello e addirittura chiuso, il Parco, alla pubblica fruizione, per via di una incredibile storia di guardiani e sorveglianti che non si trovano, nonostante l’Azienda Comune di Napoli sia la vera Fiat del Sud, 20 mila dipendenti e passa. Molti dei quali, però, ‘sedentari’, ossia incollati a quelle poltrone o seggiole conquistate con anni di sindacalismo spinto e di prassi che più clientelari non si può.
Una macchina elefantiaca, quella di Palazzo San Giacomo, che descriveva alla perfezione, molti anni fa, il docente di Sociologia alla Federico II Amato Lamberti, lo storico fondatore dell’Osservatorio Anticamorra: “Non entri al Comune se non hai la fedina penale sporca o se non te la fai sporcare ad hoc”. Tutto detto.
Ma torniamo al green. Il gioiello d’un tempo della Villa Comunale ormai non esiste più. Sterpaglie, incuria, montagne di polvere, erbacce, siepi irriconoscibili, un senso di completo abbandono, la sensazione di totale menefreghismo pubblico, come se si trattasse di un bene che non appartiene a nessuno e del quale nessuno deve occuparsi.
Ciliegina sulla torta le preesistenze storiche che un tempo davano lustro alla Villa Comunale, come la Cassa Armonica, abbandonata a se stessa, lo storico Acquario Dohrn, di valore eccezionale e ormai in attesa di altra destinazione, il Circolo della Stampa fino a una quindicina d’anni fa tra i più prestigiosi d’Italia, oggi ridotto ad un rudere, del tutto ‘sgrarrupato’, pare ci viva un gruppo di barboni stranieri che ne hanno fatto la loro dimora. All’esterno ringhiere divelte, scritte deturpanti, insomma un vero e proprio museo degli Orrori.
All’epoca il Circolo della Stampa pareva destinato alla maison del gusto di Gianfranco Vissani, visti gli ottimi rapporti tra il super chef e Massimo D’Alema, con un Antonio Bassolino primo cittadino. Poi non se ne fece più nulla. Ed è invece andata avanti, per anni, una battaglia a botte di carte bollate tra il Comune a guida dell’arancione Luigi de Magistris e lo stesso Circolo.
Oggi, per ‘manutenere’ la Villa Comunale ci sono appena dieci giardinieri. In realtà solo teorici, perchè più della metà sono praticamente inutilizzabili, avendo in 6 “limitazioni fisiche”.
Mancano del tutto gli attrezzi, c’è appena un decespugliatore malridotto invece dei 5 previsti. Nemmeno un trattore. “Lavoriamo a mani nude”, raccontano i pochi lavoratori nel deserto, “mancano perfino elmetti e guanti”. Di irrigatori neanche a parlarne, motivo per cui tutto è riarso, le piante in coma, le montagne di polvere a farla da padrone: “una vera delizia per gli attoniti turisti che si azzardano di traversare la savana napoletana e si beccano in faccia folate di sabbia”, racconta una attonita guida turistica.
Alla faccia del Rinascimento napoletano.
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