Fucili contro pietre

Antisemitismo=razzismo, l’equazione regge alla prova del nove e mette alla gogna gli infami che negano la strage di sei milioni di ebrei vittime del nazifascismo. La premessa è un obbligo etico, condiviso da gran parte dell’umanità. Ma giustifica le violenze inflitte al popolo palestinese, l’usurpazione dei suoi territori, l’uso delle armi per spegnere il diritto di essere Stato, la ghettizzazione sempre più compressa nella striscia di Gaza, l’appropriazione indebita di Gerusalemme capitale ebrea, il muro che confina i palestinesi in un enclave sotto tiro dell’esercito di Nethaniau? Contro tutto questo la marcia di avvicinamento al confine di migliaia di palestinesi, prevalentemente giovani, che 100 cecchini israeliani hanno preso di mira: 16 morti, 1400 feriti. Dice Israele che migliaia di persone hanno manifestato lungo la barriera (invalicabile, ndr) per celebrare lo sciopero generale del 30 marzo del 1976, hanno bruciato pneumatici, lanciato bombe molotov e pietre contro la barriera (invalicabile), ma nessun ferito tra i soldati israeliani. Israele ammette di aver sparato “verso i principali istigatori con misure di dispersione dei disordini”, per non dire che i manifestanti si erano radunati al confino per uno sciopero che in ogni Paese del mondo non è represso a colpi di armi da fuoco. Il presidente palestinese ha deciso per domani un giorno di lutto nazionale per i martiri vittime degli israeliani. Caro Coni, ancora convinto che il Giro d’Italia debba partire dalla Gerusalemme israeliana?

L’Italia è anche il Paese di beceri funamboli della politica, campioni di salto senz’asta. Gente che sgomita per un posto di prima fila accanto alla poltrona del vincitore. La processione sulla via costellata di stelle, 5 per la precisione, ha visto un suo precoce prologo quando i sondaggisti hanno avvertito il soffio del vento in poppa ai grillini. Si spiega così l’elezione di sconosciuti da fiuto di cani da caccia, di personaggi amorfi, nel senso di pregressa indifferenza per le vicende della politica, che hanno intravisto la possibilità di condividere un “mestiere” redditizio e, non meno, di scaltri indovini, pronti a lasciare il vecchio (gli sconfitti) per il nuovo (i vincitori). Nel nucleo di eccellenze con licenza di trasferimento, il sociologo napoletano De Masi, vecchia volpe, permeabile alle lusinghe di chi ha il potere, uno di non pochi Pd fulminati dai richiami della sirena pentastellata e l’attore di sinistra-sinistra Moni Ovada. Da altra sponda proviene Roberto Poli, già presidente dell’Eni in epoca berlusconiana, consiglio di amministrazione Fininvest, Mondadori e Ospedale S. Raffaele. Non mancano salti della quaglia dal pianeta del giornalismo. Oltre Paragone e l’ex Sky Carelli, che se Di Maio riesce a fare un governo hanno davanti a se tappeti rossi di accesso a ruoli prestigiosi (RAI?), anche Luisella Costamagna del grillino “Fatto quotidiano”, cast del Travaglio anti Pd e, Nuzzi, De Biase del Sole24Ore. Basta aver pazienza, con un governo pentastellato il proselitismo di Casalaggio e soci toccherà vette alla Messner.

Fan, entusiasti esponenti della tifoseria Saviano e arrabbiati suoi detrattori. Una via di mezzo non c’è. I primi sono in perenne standing ovation per il “coraggioso” narrante di Casalesi e soci in camorra, gli altri omologano Gomorra al peggiore biglietto da visita per la città, aggravato dall’esportazione della fiction tratta da libro ed esportata in mezzo mondo. A dar loro ragione è un calciatore, tale Younes, in predicato di essere ingaggiato dal Napoli. Edotto dalla letteratura sulla camorra e probabilmente da chiacchiere in quel di Castel Volturno (luogo non proprio esente da presenze camorristiche), dov’era approdato per entrare in confidenza con l’ambiente, il giovanotto ha fatto dietro front ed è tornato da dove era venuto. Non è il solo caso. Altre trattative, vicine a conclusione non sono andate a buon fine per identici motivi. Insomma, vedi Napoli e poi…scappa. Ce n’è da riflettere.


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