L’utopia del “Russia, arriviamo”. Italia-Svezia 0 a 0, addio ai Mondiali 

L’ultima volta di una figura barbina risale all’antidiluviano 1958, quando l’Italia rimase fuori del campionato del mondo. In questo spareggio con la modestia del team svedese, che nel nostro campionato lotterebbe per non retrocedere, una somma di deficit ha impedito di rimontare l’uno a zero del match d’andata che sarà ricordato come l’incredibile sconfitta azzurra con la Corea. Raccontare minuto per minuto i novanta minuiti del Meazza farebbe torto al fine palato degli intenditori. La Svezia è venuta dalle nostre parti con la tenue speranza di non prenderle e la trappola è riuscita. Gli uomini di Andersson hanno presidiato la propria metà campo con il piglio dei guastatori, completamente disinteressati a qualunque cosa non fossero contrasti e palloni scagliati in avanti nel nulla. Si chiama catenaccio e i gialloblu lo hanno applicato perfino con approssimazione, lontani molte miglia dall’idea di trasformare l’estremismo della difesa a oltranza in percussioni da contropiede. Allora è lecita la domanda: contro una squadra sottodimensionata, con un tasso tecnico da netta insufficienza e disposto a subire la pressione dell’Italia, perché è finita così l’avventura degli azzurri nelle qualificazioni per accedere ai Mondiali in Russia? La risposta non va cercata nella debacle dello zero a zero di San Siro. Molto più utile è riandare all’unica partita dell’Italia con una squadra di rango. I limiti della nostra nazionale sono apparsi in tutta evidenza quando hanno ricevuto una lezione di calcio dalla Spagna. In quella circostanza chi se ne intende ha capito che il patrimonio del calcio italiano è poca cosa, per mille ragioni, aggravate dalla sbandata che ha accompagnato la regia tecnica di Ventura. Un’Italia senza personalità, mal disposta in campo (l’ostinazione del 3-5-2 è sintomo evidente di miopia irreversibile), confusionaria, ha vissuto di presunzione, fino alla vigilia del misero 0 a 0 di Milano. “In Russia? Nessun dubbio, ci saremo” ha proclamato Ventura, chissà, nella speranza di intimorire i ragazzoni svedesi. Errori su errori. Il doppio centravanti in seria difficoltà senza l’estro e le invenzioni di Insigne, miglior attaccante italiano della serie A, nessuna alternativa per le doti realizzative di Immobile, ingabbiate dai difensori centrali, lentezza esasperante nel giro palla, rare verticalizzazioni, nessuno schema collaudato per ottimizzare punizioni e calci d’angolo. Del match con la Svezia si deve apprezzare solo la rabbia agonistica messa in campo dagli azzurri, purtroppo non assecondata da finalizzazioni in grado di assaltare vittoriosamente il fortino eretto davanti a Olsen per trovare i famigerati due gol della qualificazione. L’esito dello spareggio sconforta, non quanto la previsione di un difficile futuro per la nazionale, condizionata dagli interessi prevalenti del campionato e delle coppe europee, dal loro ritorno economico. La responsabilità del naufragio di questa Italia, ha già trovato il suo capro espiatorio. Finisce qui la storia di commissario tecnico di Ventura e si autoassolveranno altri colpevoli della Caporetto appena subita. E’ probabile che altri 60 mila tifosi della nazionale, nello stesso stadio subiranno identica mortificazione dell’attaccamento ai colori degli azzurri, testimoniato, in una serata nera, dall’inno di Mameli cantato nel corso della partita. Ha dato inutilmente la carica agli undici rappresentanti del nostro calcio, vittime di quel 3-5-2 indigesto per tutti ad eccezione di Gian Piero Ventura e tipico delle squadre meno paludate del nostro campionato per ridurre al minimo il rischio di soccombere con punteggi tennistici.


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