Appalti informatici al tribunale di Milano. E’ giallo nel giallo. Non solo commesse assegnate a sigle e imprese in odore mafioso, ma addirittura, per svariati lotti, poi collaudate da magistrati. E contro la legge. Ai confini della realtà. Invece, ben dentro il ‘pianeta’ giustizia di Casa nostra.
Scrive il Corriere della Sera del 12 giugno: “magistrati collaudatori d’appalti nonostante il divieto di legge. In 18 delle 72 procedure d’appalti da 8 milioni per l’informatica degli uffici giudiziari di Milano con i fondi Expo 2015, al centro dell’esposto dell’Anac di Raffaele Cantone alla Procura, c’è un problema non solo sul ‘prima’ ma anche sul ‘dopo’ e cioè sul momento dei collaudi”.
Commissioni di collaudo “delle quali facevano parte anche 9 magistrati, alcuni provenienti anche da fuori Milano. Il che è vietato dalla legge che stabilisce: ‘Incarichi di verifica della conformità non possono essere affidati a magistrati ordinari, amministrativi o contabili, e agli avvocati e procuratori di Stato, in attività di servizio’”.
Se succede addirittura al Tribunale di Milano, per appalti giudiziari, e con la presenza di magistrati nelle stesse commissioni di collaudo, figurarsi cosa può succedere in altre parti d’Italia.
Sorge spontanea la domanda: ma quella normativa così pomposamente recitata dalla lettera A del comma 3 dell’articolo 314 del DPR numero 207/210 cosa ci sta a fare? Al solito, facciamo le norme inondate da codici e codicilli che non vengono rispettate da nessuno, tantomeno dagli stessi magistrati?
Uno dei casi più eclatanti di giudici-collaudatori fu, negli anni ’80, quello delle toghe incaricate di verificare i lavori del dopo terremoto in Campania, sisma che si è trasformato in una grande occasione per il decollo della camorra spa, di faccendieri e imprese di partito, ma anche un otttimo ingranaggio per tanti professionisti, in pole position i magistrati.
Resta storico un documento presentato da alcuni magistrati contro altri magistrati nel 1989 davanti al Csm nel quale veniva puntato l’indice contro le toghe collaudatrici, un folto numero in Campania, chiamate a suon di milioni di lire, all’epoca, per verificare la congruità – non si sa con quale perizia tecnica – di opere pubbliche costate una barca di soldi.
Opere sulle quali avrebbero caso mai indagato in un momento successivo, come è successo con l’inchiesta sul dopo terremoto, dieci anni di carte e processi buttati al vento, e a loro volta costati altre palate di milioni allo Stato.
Un processo – quello del post sisma ’80 – ovviamente morto di prescrizione, tanto per cambiare…
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