Fosse uno qualunque, l’ambulanza dei matti l’avrebbe già imprigionato nella camicia di forza e legato nel letto di contenzione del più vicino ospedale psichiatrico. Invece è Donald Trump, il tycoon fuori di testa che sprovveduti e imprevidenti americani hanno scelto per la successione a Barak Obama. Lo “squinternato” che abita la Casa Bianca, in una delle consuete farneticazioni ha promesso all’America di aumentare l’arsenale nucleare che di suo, negli Stati Uniti Paesi satelliti, rappresenta un potenziale distruttivo sufficiente a mandare in pezzi la Terra. Un nuovo raptus coglie Trump in questi giorni di tensione internazionale per quanto accade in Siria. Per acquisire totalmente la benevolenza dei “signori della guerra” che lo hanno sostenuto elettoralmente, dimentica la parte sostenuta da Putin nel pilotare la sua vittoria su Hillary Clinton. Forte dell’emotività suscitata dalla strage del gas nervino, attribuita ad Assad e contestata dalla Russia annuncia un intervento armato degli Stati Uniti in Siria e per essere credibile la colpisce con cinquantanove missili, proprio così, cinquantanove. Il presidente mistificatore prova a legittimare il lancio dei micidiali Tomahawk, sostiene che si è trattato di un attacco “mirato” contro le armi chimiche (in possesso della Siria? Nessuno lo ha finora accertato). La risposta di Putin “Aggressione a Stato sovrano, violata la legge internazionale”, conferma il sodalizio di Putin con Assad. Alimentare la tensione Russia-Usa, già compromessa da Trump con l’ impegno preso con il Paese di dotarsi di nuove armi nucleari, con l’irritazione di Putin, equivale a gettare un cerino acceso in un lago di benzina. A contestare Trump è anche l’Iran che definisce l’attacco un’ “azione pericolosa”. Sono per ora incerte, ma non prive di rischio, le conseguenze della contrapposizione Putin-Trump. Il Cremlino condanna l’attacco missilistico alla Siria, perché sferrato con un pretesto, cioè non motivato dal possesso di armi chimiche della Siria e avverte che compromette le relazioni tra i due Paesi, mette in discussione l’auspicata alleanza per combattere il terrorismo islamico. Sul fronte opposto il presidente russo agisce in regime molto prossimo alla tirannia. Putin, circondato da affaristi corrotti e collusi con la malavita, intrattiene rapporti ambigui con Assad e reprime con il carcere chi denuncia il carattere dispotico della sua presidenza, tollerante nei confronti del malaffare, repressiva della politica indipendentista di alcuni Paesi satelliti. Atmosfere belliche evoca Graham Allison, prestigioso esperto di climi antecedenti a guerre degli ultimi cinquecento anni. In un libro recente pronostica l’evento disastroso di un confitto Cina-Stati Uniti e lo motiva elencando dodici casi provocati da Paesi emergenti contro Paesi dominanti. Sarebbe inevitabile, sostiene Allison, considerata l’ambizione di Pechino sotto la spinta di chi comanda l’economia del suo Paese e non si accontenta di invadere i mercati mondiali con prodotti di ogni genere competitivi, per ora grazie al lavoro sottopagato. Primo motivo di contrasto è la scelta di autarchia di Trump, la minaccia di dazi insostenibili sui prodotti importati. L’Europa sta nel “bel” mezzo di questa feroce querelle iniziale che alimenta l’altrui tendenza al nazionalismo secessionista e al qualunquismo. Allison va pesante sulla questione dello scontro imminente tra il gigante in crescita cinese e l’aggressività americana di Trump. Ritiene che tempo dodici anni, se non interverranno ripensamenti sostanziali, saranno in guerra le due maggiori potenze mondiali.
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