Pubblichiamo brani dall’intervista di Nicola Imberti a Frank Cimini uscita sul quotidiano Il Foglio.
«La vera separazione delle carriere che la politica dovrebbe fare è quella tra giornalisti e magistrati inquirenti». Frank Cimini pronuncia la frase con leggerezza, a mo’ di battuta. Confermando la capacità, che in tanti gli riconoscono, di dire sempre quello che pensa. Soprattutto quando si tratta di magistrati. Per gli etichettatori seriali è una “voce fuori dal coro”. Fin da quando, dopo aver fatto il ferroviere e il giornalista praticante del Manifesto, entrò per la prima volta al Palazzo di Giustizia di Milano, alla fine degli anni Settanta. Poi, nel 1992, l’inizio di Tangentopoli.
Da cronista del Mattino Cimini racconta ciò che sta accadendo. Anche quello che gli altri sembrano non vedere. Anni dopo ci sarà chi scriverà di un patto tra magistrati e giornalisti. Informazioni selezionate e distribuite accuratamente alla stampa, telefonate tra i vertici dei principali quotidiani per decidere la linea, articoli che colpivano con precisione chirurgica. «In realtà – spiega al Foglio – questo meccanismo che lega inquirenti e mezzi di informazione c’è sempre stato. Soprattutto nella fase delle indagini preliminari in cui il pm è il signore assoluto. Durante Tangentopoli ci fu uno scambio. Gli editori dei ‘giornaloni’ si schierarono e ottennero l’impunità. Fu un do ut des».
Insomma, per Cimini, non c’ era bisogno di sottoscrivere accordi, tutto si svolse quasi “naturalmente”. Meno “naturale” fu invece il potere che i magistrati si trovarono a gestire: «Dopo che la politica aveva affidato il compito di risolvere il problema del terrorismo, nel 1992 decisero di ‘presentare il conto’. Vedendo che la politica era debole, decisero di scardinarla. Così diventarono un potere che nessuno è più riuscito ad arginare».
Qui la pagina del Foglio
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