Bagarre continua per l’affare stadio a Roma. Scende in campo il presidente del consiglio comunale, Marcello De Vito, che indossa la maglietta di Francesco Totti e in verace romanesco incita i fans: “Non te preoccupà Capitano: famoStostadio e famolobene. Con ASRoma lavoriamo a progetto innovativo”.
Prende finalmente posizione, il rivale di Virginia Raggi alle comunarie grilline, la vittima della macchina del fango ordita dalla banda dei 4, secondo le ricostruzioni – guarda caso un coro perfetto – di Giovanni Bianconi via Repubblica, Fiorenza Sarzanini per le colonne del Corsera e Marco Lillo per il Fatto. Unito e compatto, il tris mediatico, nel tentativo – fino ad oggi bucato – di delegittimare il sindaco, che presto verrà accusato di aver scippato ai romani il Colosseo, caso mai con una comoda polizza. E accreditare come un intemerato gladiatore l’aspirante primo cittadino De Vito, che fino a ieri a sua insaputa voleva lo stadio: il fedelissimo, Stefano Zaghis, è infatti uno dei più ascoltati consulenti di Prelios, il fondo che agisce in tandem col gruppo Parnasi per il maxi business a Tor di Valle.
Oggi, finalmente, De Vito mostra con orgoglio la maglietta giallorossa firmata Pallotta, Parnasi & C.
Tifa il redivivo Matteo Renzi che sul suo blog incita: “non è solo un fatto economico per il territorio, ma soprattutto un fattore di crescita e competitività”. Crescita per i fatturati di mattonari & faccendieri al seguito, visto che lo stadio rappresenta nemmeno il 20 per cento sulla montagna di cemento che colerà intorno all’impianto sportivo, una città nella città, mai prevista da alcun piano regolatore: un mostro urbanistico che solo dalle nostre parti può trovare cittadinanza (e proprio per questo un urbanista del calibro dell’assessore Paolo Berdini è rimasto quasi solo a denunciare l’entità dello scempio prossimo futuro).
Il più sfegatato però è Luca Lotti, che invece di pensare al maxi scandalo Consip e all’inchiesta delle procure napoletana e romana che lo coinvolge, trova il tempo per tweettare come il suo Capo: “il governo non c’entra niente. Ma io sto con il Mister Spalletti, famolostadio”. E chissenefrega se per caso si trova a fare il ministro dello Sport.
Sul fronte antiRaggi, comunque, la palma di migliore in campo spetta di diritto al Nainggolan di Repubblica, Carlo Bonini, che entra in tackle sulle caviglie di Virginia e 5 stelle. Osservando la palla di vetro, vaticina lo 007 del quotidiano diretto da Mario Calabresi: “Marra dirà che era il leader M5S il garante politico”. Dirà a chi? Ma ai pm capitolini che stanno puntando i riflettori sul giallo del Campidoglio. E il leader? Ma Luigi Di Maio, of course.
Tutto chiaro, un film ancora non proiettato ma già visto dal profetico Bonini che chiarisce: “E’ Di Maio il convitato di pietra di questa storia. Fu a Di Maio che la Raggi chiese di incontrare Marra nel momento in cui la Giunta, da poco insediata, cominciava a mostrare la corda. Fu Di Maio a convincere Marra a non abbandonare prematuramente il suo lavoro di badante della Raggi con argomenti che lo stesso Marra sarà senz’altro in grado di raccontare, quando comincerà a rispondere alle domande dei pubblici ministeri”.
Tanto per non farsi mancare niente – aggiunge Otelma Bonini – “fu ancora Di Maio, quale garante di quella scelta politica, a difendere il rapporto privilegiato ed esclusivo dei ‘quattro amici al bar’ di cui oggi nulla resta. Una verità – sentenzia la Repubblica formato Cassazione – che non sfugge né a Grillo né alla Raggi. Entrambi sanno che, proprio come i ‘quattro amici al bar’, simul stabunt vel simul cadent”.
Ottimo e abbondante.
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