Con pazienza e competenza, i docenti di latino e greco tentano di spazzare via l’idiosincrasia di molti studenti nei confronti di latino e greco, le due materie che con l’italiano sono centrali nel percorso del liceo classico. Puntualmente gli innovatori a tutti i costi provano a dismetterle e lo motivano con la profonda trasformazione sociale che privilegia il pragmatismo della domanda di professionalità in sintonia con la tecnocrazia del presente e ancor più del futuro. La risposta fa leva sull’incontrovertibile valore delle due lingue nell’evoluzione che ha originato l’italiano e non meno sul loro potenziale di sollecitazione per impegnare la mente, soprattutto con il greco, nel decifrare la struttura della lingua, anomala rispetto al lessico forbito di Dante da cui discende il nostro idioma. La conclusione della disputa non sembra imminente e lo conferma la scelta ministeriale del greco come materia della maturità classica di quest’anno. Priva del supporto “scientifico” dei sondaggi ne deriva comunque la considerazione di un basso indice di gradimento dei maturandi e probabilmente di un profondo respiro di sollievo dei loro successori per i quali è esclusa la reiterazione di questa ostica materia nelle proposte del 2017. In posizione di equidistanza è lecito dubitare della ragionevolezza che guida la decisione di imporre il greco come test della maturità classica? Non sarebbe logico proporre in eterno l’italiano, territorio di apprendimento che include il più ampio sapere acquisito nell’intero percorso, dalle elementari all’Università? E poi, a quando l’insegnamento “serio” di una lingua straniera, l’inglese universale per esempio? E’ probabile che la considerazione si ispiri alle personali difficoltà nell’approccio alla lingua di Omero e ai pessimi voti meritati per aver travisato il senso di intere versioni, scegliendo dal glorioso dizionario Rocci quello sbagliato tra molti significati del verbo principale.
Italia, su la testa
Oltre alla stolta subordinazione al puritanesimo islamico, culminato con l’ imbracatura della statue di nudi per non mettere a disagio il presidente iraniano, l’ Italia rischia una nuova soggezione, questa volta ei confronti dei potenti alleati Usa che ci inducono a prender parte a interventi armati in Libia, finora esclusi dal governo, contrario a soluzioni belliche per dirimere questioni internazionali, come impone la Costituzione, ma nel sommerso interessato a una partnership postbellica economicamente allettante. Se Renzi cedesse alle sollecitazioni americane raddoppierebbe l’incomprensione per l’incoerenza di Paese pacifista, traballante dopo la decisione di acquistare gli F35, aerei da guerra incompatibili con il dettato costituzionale e con le limitate risorse dell’Italia. Gli esperti di cose militari prevedono che corrisponderemo alla sollecitazione di Obama, per non essere esclusi dal dopo caos. L’ipotesi è accreditata dall’autorevole New York Times che riporta le dichiarazioni del portavoce della presidenza Usa: “Siamo pronti con Inghilterra, Francia e Italia a intervenire per colpire il terrorismo islamico”. Gli osservatori scettici ritengono che l’interventismo americano in Libia sia ispirato in realtà dall’obiettivo di spartirsi le allettanti risorse energiche del Paese africano.
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