Difesa e attacco, strategia vincente

Maria Elena Boschi può dirsi a ragione soddisfatta. Le giova e come, la gara perdente all’insulto che vede un esito pari tra l’isterico Di Battista, gli esagitati coinquilini pentastellati e la linea giustizialista del Fatto Quotidiano. Anche se può apparire una riflessione piscologica, al di fuori delle schermaglie parlamentari, è largamente sostenibile l’ipotesi che l’isteria accusatoria nei confronti della ministra sia la diretta conseguenza di una rabbiosa quanto introversa constatazione dell’autorevolezza dimostrata nella gestione del mandato affidatole con lungimiranza da Renzi. Per di più, in questo Paese che antepone l’apparire alla sostanza dell’essere, sono scontate invidia e acrimonia per una persona giovane, di aspetto gradevole, competente e onesta. Spiazzante, ma questo aspetto il Fatto Quotidiano platealmente filo grillino lo elude con malizia, è stata l’affermazione perentoria della Boschi su ipotetiche responsabilità del padre. Se ha sbagliato paghi, ha detto per zittire le accuse di complicità parentale. Sullo sfondo, preoccupa il mezzo parlottare dei giovani e rampanti delfini di Grillo e Casaleggio sull’ipotesi di loro candidature a indossare la fascia tricolore a Milano e Roma. Fosse un’intenzione fondata basterebbe a ridurre sostanzialmente il consenso al movimento che rappresentano in mancanza di meglio e a illuminare i sostenitori di Cinquestelle soggiogati dai suoi proclami moralizzatori, esattamente come avvenne con l’Uomo Qualunque che arruolò, per fortuna solo temporaneamente, una fetta di popolo mortificata dal dopoguerra disastroso di un’Italia in ginocchio.

Straordinaria Boschi: da chi osserva la politica da una certa angolazione, nel pianeta della sinistra, desta perplessità l’adesione acritica al progetto Renzi di coalizzare il pacchetto azionario dei partiti moderati per partorire un’alleanza moderatamente socialdemocratica, ma l’evento pieno di insidie della mozione di sfiducia ad personam di 5Stelle le assegna la laurea con lode in dialettica auto assolutoria. Senza neppure un’occhiata rassicurante alle sei cartelle scritte di suo pugno, la ministra riduce al silenzio il bellicoso manipolo pentastellato, fino a intimidirlo e a costringere l’esagitato Di Battista a spostare il tiro della contestazione al governo Renzi, peraltro assente in aula per impegni istituzionali ma sicuro, con spavalda e motivata presunzione, del naufragio che ha sommerso lo yuppie grillino. Va a picco anche il barcone usurato del centro destra. Forza Italia, alle prese con una prolungata conflittualità aggravata dal tramonto della sua logora leadership, si defila dal voto sulla mozione grillina. S’incavolano i famelici compagni di cordata. Salvini minaccia: “Attenti così l’alleanza salta”. La Meloni, “forte” del suo due o tre per cento di consensi concessi dai sondaggi, si associa. Il barricadero Brunetta riceve dal vertice di Forza Italia un avviso di inadeguatezza e la lettera di licenziamento in tronco, frange di adepti, per esempio la Polverini, abbandonano la nave in avaria e salgono sulla scialuppa capitanata da Verdini. E la sinistra a sinistra del Pd? Marcia su binari divergenti, un colpo al cerchio, uno alla botte, non incide sulla conduzione migliorista di Renzi, non coagula sufficienti energie per essere alternativa nel Nazareno e fuori dalla casa dem. Cosa certa, in casa Pd, è l’accresciuta autorevolezza della ministra Boschi.

Nella foto la ministra Boschi


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