Guantanamo, questione di soldi

Il presidente Obama, in campagna elettorale e all’atto dell’insediamento nel ruolo di presidente degli Stati Uniti, si era impegnato a cancellare la vergogna del carcere di Guantanamo, teatro di torture e di episodi da lager nazisti. Era una decisione dovuta e coerente con la sua collocazione politica di democratico. L’impegno è rimasto un’intenzione disattesa e il carcere è ancora lì. Ad acuire la delusione per l’impegno non rispettato è il caso assurdo, gravissimo, dei tredici anni di prigionia subìti da Mustafà al-Aziz-al-Shamiri per un madornale, incredibile errore di identità che gli ha attribuito l’arruolamento nelle milizie jihadiste collegate ad Al Qaeda. La vittima dell’assurdo equivoco, incarcerato quando aveva vent’anni, è un musulmano ora trentasettenne. La domanda è ovvia: in tredici anni si sarà dichiarato chissà quante volte innocente e nessuno lo ha preso in considerazione per accertarne l’estraneità alle accuse? Ecco un altro aspetto allucinante di Guantanamo che non ha rispettato i diritto dei prigionieri politici e ha svelato al mondo l’animalesco cinismo dei carcerieri, responsabili di violenze infami. Incredibile è la motivazione che tiene ancora in vita quel lager e cioè il costo levato di una struttura alternativa. Riferito a un Paese che spende miliardi per gli armamenti l’alibi appare pretestuoso, quanto inaccettabile.

 

nella foto il carcere di Guantanamo

 

 

Good news, le buone notizie

Se mai spuntasse l’alba di un giorno speciale, l’editore anticonformista di uno strumento alternativo della comunicazione getterebbe nella mischia della competizione tra i media la novità di linee opposte agli stereotipi dell’informazione che ritiene notizia la cattiva notizia e concede poco o niente al suo contrario. Nel sogno di quel giornale, finora inesistente, ha pieno diritto di visibilità il caso di Wbo Italcable, che non nasce nell’eccellenza della Silicon Valley ma nell’hinterland napoletano e per la precisione a Caivano. Il fatto: la multinazionale Italcable, in piena e remunerativa fase di produzione, decide di chiudere la fabbrica. Lavoratori in cassa integrazione, buio sul loro futuro: niente di nuovo sotto il sole, solo un nuovo episodio da imputare ai governi imprevidenti del nostro Paese che a differenza di altri (Francia per esempio) non impongono con vincoli ineludibili la permanenza pluridecennale delle imprese straniere impiantate nel Sud grazie a una serie di agevolazioni finanziarie e fiscali. Ha un che di miracoloso la svolta che coinvolge gli operai della fabbrica, forti del credito aziendale acquisito con la clientela internazionale e di commesse inevase per la “fuga” della multinazionale. I dipendenti investono parte della loro mobilità (ciascuno 25mila euro), ottengono il sostegno della Lega Coop Campania e della Banca Etica, si costituiscono in cooperativa e dopo due anni di cassa integrazione riaprono la fabbrica. Fossi il direttore dell’ipotetico giornale delle buone notizie assegnerei al caso Wbo il titolo d’apertura della prima pagina, un esauriente articolo di cronaca dell’evento, commenti e interviste. Ne parla la Repubblica, ma nelle pagine interne di cronaca dell’edizione napoletana. E’ già qualcosa, non il massimo.

 

 

Scarsi e dopati?

Lo scandalo degli atleti russi dopati ha fatto rumore e stupito il mondo dello sport per dimensione e riflessi sui risultati ottenuti a livello internazionale per effetto delle droghe. L’Italia, che non si fa mancare nulla in negativo, non è da meno. La procura antidoping rivela lo scandalo di ventisei atleti che hanno eluso il controllo e sono stati per questo deferiti con il rischio di esclusione dalle gare per due anni. L’indagine che ha portato al provvedimento è stata condotta dai carabinieri su mandato della procura di Bolzano. Tra gli atleti che hanno evitato il controllo antidoping, evidentemente per nascondere il ricorso a sostanze proibite, ci sono Fabrizio Donato, bronzo nel salto triplo alle Olimpiadi di Londra, Daniele Greco, accreditato di un record di diciotto metri, Giuseppe Basilisco, oro mondiale del 2003 a Parigi e tanti altri nomi eccellenti dell’atletica. Oltre il danno la beffa: per la maggior parte degli indagati l’ipotetico doping non è servito a ottenere grandi risultati nelle diverse discipline.


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