“Non possono assumere l’ufficio di amministratore giudiziario né il coniuge, i parenti fino al quarto grado, gli affini entro il secondo grado, i conviventi o i commensali abituali del magistrato che conferisce l’incarico”. E’ questo uno degli aspetti di maggior peso del nuovo “Codice antimafia” appena varato dalla Camera e in attesa ora del disco verde di palazzo Madama. Niente più compagni di merende a guidare le aziende confiscate alle mafie, dunque, dopo il clamoroso caso Saguto, l’ex presidente delle misure di prevenzione al tribunale di Palermo in ottimi rapporti, fra gli altri, con il prefetto della stessa città, appena rimosso dal suo incarico. E con un questore – come ha clamorosamente certificato un servizio delle Iene – che è a conoscenza del fatto che molti immobili confiscati nella sua città (e che dovrebbero essere assegnati ai pensionati più bisognosi delle forze di polizia) o sono del tutto inutilizzati oppure ancora nella disponibilità degli stessi mafiosi (“chiavi” in mano).
Una vera rivoluzione il nuovo Codine antimafia, gioisce il ministro della Giustizia Andrea Orlando, secondo il quale le nuove norme sono in grado di colpire anche i colletti bianchi e le corruzioni legate ai fenomeni mafiosi. “Anche a loro – enfatizza il Corriere della Sera – saranno applicate le misure di prevenzione patrimoniale per le ricchezze di cui non sapranno giustificare la provenienza”. E – gonfia il petto il guardasigilli – “in questo modo si estende di un altro passo la legislazione antimafia dei reati contro la pubblica amministrazione”.
Guarda caso, proprio in contemporanea, suona il campanello d’allarme di Bankitalia. “In questo momento – viene sottolineato dal direttore dell’Unità di informazione finanziaria dell’istituto di Vigilanza, Claudio Clemente – la pubblica amministrazione rappresenta un cono d’ombra nell’attività di antiriciclaggio e di corruzione. La pubblica amministrazione finora ha collaborato poco”, nonostante tale collaborazione dal 1991 sia obbligatoria per legge. “Non è stato creato – aggiunge Clemente – un sistema per ottemperare agli obblighi antiriciclaggio previsti dalla legge”. Un solo numero rende il contesto: su circa 72 mila segnalazioni di operazioni sospette, solo una ventina – quindi niente, in pratica – sono pervenute dalla pubblica amministrazione. Meglio, perciò, chiudere occhi, orecchie e cucire le bocche, piuttosto che collaborare con gli organismi di controllo e di investigazione.
Ma torniamo alla rivoluzione renziana nel contrasto alle mafie, così descritta dal Corsera: “sono trascorsi 33 anni dal varo della legge Rognoni-La Torre e ora, con la revisione sistematica del codice delle leggi antimafia, il Parlamento aggiunge un altro tassello nella lotta di aggressione ai patrimoni criminali”. Girerà come una trottola nella sua tomba, il povero Pio La Torre, massacrato dalla lupara mafiosa e oggi calpestato da questa finta “rivoluzione”. Sbotta un imprenditore siciliano che sta per chiudere la sua piccola azienda: “Siamo alle solite finzioni. Alla presa per i fondelli dei cittadini in buona fede. Ma quale rivoluzione! Vietare pranzi e cene tra magistrati e amministratori giudiziari? Basta questo? Fare pulizia e trasparenza soprattutto nella assegnazione e gestione dei beni mafiosi è ben altro. Nulla è mai stato fatto da trent’anni e nulla viene fatto adesso, solo qualche zuccherino per i deficienti”.
Per il presidente della commissione Giustizia, la Pd Donatella Ferranti, si spalanca un futuro del tutto nuovo. Ecco come lo dipinge: “Si tratta di norme che permetteranno anche ad aziende infiltrate dalla mafia di ritornare alla legalità e competere sul mercato in modo sano, producendo ricchezza e salvaguardando l’occupazione”. Fino ad oggi, almeno sulla carta, era previsto forse il contrario?
Un tocco magico, poi, farà finalmente funzionare l’Agenzia per i beni confiscati. La nuova normativa, infatti, prevede una “ristrutturazione” e una vigilanza sul suo operato non più da parte del Viminale, ma della stessa presidenza del Consiglio, con un Renzi ovunque; il quale, comunque, potrà contare sull’apporto del ministero per l’Economia e lo sviluppo.
Altro tocco magico. I professionisti chiamati alle delicatissime amministrazioni giudiziarie non potranno più far collezione di incarichi, perchè viene stabilito un tetto, tre al massimo. Nota il presidente dell’Antimafia Rosy Bindi: “avrei preferito un criterio qualitativo e non quantitativo, perchè potrà ad esempio capitare che un amministratore debba gestire tre poderi e un altro tre ipermercati”. Mentre si brancola ancora nel buio sul tema dei “compensi” ai quali – a parole – l’esecutivo vorrebbe porre un tetto (equiparando, in qualche modo, amministrazioni giudiziarie e curatele), sollevando le fiere proteste degli ordini professionali. Cosa succederà?
Nella foto il ministro Andrea Orlando
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